Berlusconi è dentro ognuno di loro

di Alessandro Barbano (huffingtonpost.it, 10 agosto 2020)

In principio era il Cavaliere, con le dichiarazioni d’amore al Paese in videocassette distribuite dalle sue tivù, con le cornici di fondotinta sul sorriso a trentadue denti, con la Bibbia dei sondaggi squadernata come una carta geografica sul cammino di una navigazione tutta personale, perché personale, e sempre in scena, era il partito che mandava in archivio una politica fino ad allora giocata dietro le quinte. Ma oggi “nemmeno in Berlusconi c’è tanto Berlusconi come in loro”, dice amaro Mattia Feltri nella sua rubrica Buongiorno su La Stampa, chiosando l’estate di foto fintamente rubate, ma in realtà apertamente costruite, in cui da Conte alla Boschi, da Salvini all’Azzolina, passando per Casalino, è un tripudio di pseudo privato che si esibisce a uso e consumo pubblico.

Ph. Vittoriano Rastelli / Getty Images
Ph. Vittoriano Rastelli / Getty Images

Definirlo uno slittamento estetico non serve a circoscrivere, con una censura moraleggiante, il perimetro del fenomeno, perché questa è ormai l’unica forma che il potere conosca: l’Ego e la politica stretti in una posa da rotocalco, o in una clip da social, dove tutto ciò che appare istantaneo e spontaneo è studiato, e tutto ciò che è detto, poco in verità, è recitato. La stessa spendita del corpo, che da sempre orienta la direzione del flusso emotivo tra la leadership e il popolo, è un surrogato, in cui l’essenza del vero e la movenza del falso si confondono nella percezione, curiosa e scettica insieme, dell’utente. La tecnologia ha questo di potente: trasforma in un prodotto seriale l’artigianato di una squadra di smanettatori ventenni, i cosiddetti social media manager, di cui nessun politico che si rispetti ormai farebbe a meno.

L’effetto visivo di questo processo è una mistica nevrotica e progressiva dell’apparire e del piacere, una coazione a ripetere da cui la democrazia italiana non esce ormai da un quarto di secolo. I nuovi leader surrogano i vecchi estremizzando l’egolatria, il narcisismo, il tatticismo integrale, che scava attorno a sé il vuoto strategico della politica corrente, per cui tutto ciò che si pensa, si dice e si mostra – ma, vista la velocità con cui ciò accade, sarebbe meglio dire “si mostra, si dice… e si pensa” – è puro mezzo, non più in relazione con qualsivoglia fine, inteso come idea di Paese e progetto.

Con l’avvento dei populisti al potere in Italia, la comunicazione politica ha assunto forme inedite, enfatizzando una soggezione dei media che nell’ultimo decennio è andata crescendo. Gli uffici stampa dei partiti avvisano i giornalisti che sta per comparire su Facebook un video del leader. Questi spesso si limitano a titolarlo e a caricarlo sui loro siti. Sempre gli uffici stampa contrattano con gli autori dei talk politici le forme della partecipazione in tivù, concordando gli ospiti presenti alla trasmissione, le domande da fare e gli argomenti da evitare. Non a caso gli stessi autori stilano un testo che chiamano correttamente “copione”, in cui tutti i contenuti e la dialettica che apparentemente contrappone un protagonista a un antagonista sono previsti o prevedibili, in quanto frutto di una costruzione autoriale.

In tal modo le trasmissioni di approfondimento politico finiscono per coincidere con le serie televisive. Si tratta di “spettacoli che negano di esserlo – così li definisce lo scrittore Walter Siti – protetti come sono dal grande ombrello dell’informazione: un sottogenere artistico che non osa dire il suo nome”. Le macchine della propaganda fanno il resto. Sezionano un frame della commedia televisiva, tagliando e reincollando secondo la convenienza di turno, e lo affidano ai rimbalzi della Rete. Può accadere che un politico soccomba a un contraddittorio con un rivale, ma s’imponga sui social perché la sua frase più efficace, anche se falsa, anche se contraddetta, è stata ritagliata in una clip a misura del consenso.

La resa dei modelli informativi della tivù e la giungla di Internet senza mediazioni sono in una linea di continuità. Raccontano uno slittamento progressivo verso una comunicazione da cui il filtro del giornalismo scompare. C’è un’immagine che rappresenta il fenomeno in maniera esemplare. È quella dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che su Facebook spiega le ragioni del suo “no” allo sbarco dei migranti della Diciotti, la nave della Marina Militare con 177 richiedenti asilo a bordo, a cui viene impedito l’attracco nel porto di Pozzallo. È il giorno più drammatico della crisi. Dopo un’attesa estenuante, scandita dal botta e risposta tra Italia e Francia, tra Lega e 5 Stelle, tra maggioranza e opposizione, Salvini pone il suo smartphone in posizione selfie e registra un video di 19 minuti in cui motiva la sua decisione e attacca frontalmente tutti coloro che lo criticano. Lo fa in un monologo, quindi senza contraddittorio, che posta sul suo profilo Facebook, non prima di aver avvisato le redazioni attraverso il suo ufficio stampa. In pochi minuti il video campeggia in versione integrale sull’home page dei principali siti d’informazione del Paese. Niente più del titolo di un giornale on line può far coincidere il massimo di oggettività con il massimo di parzialità. La locuzione “Salvini, due punti, aperte le virgolette” trincera il giornalismo dietro una formale asetticità, sottraendolo a qualunque onere interpretativo.

Allo stesso modo oggi le ragioni di un lockdown esteso a tutto il Paese, contro il parere degli scienziati, vengono spiegate dal ministro della Salute, Roberto Speranza, con un “colloquio” al Corriere della Sera, una formula che ha le risposte ma non le domande. Ma se di fronte a una decisione così controversa il giornalismo rinuncia a domandare, cosa gli resta? Se la sua funzione mediatrice è azzerata, perché la comunicazione della fonte politica interessata diventa la notizia nella sua integralità, a che titolo noi giornalisti possiamo ancora definirci “media”, e non piuttosto conduttori di silicio, meri anelli di una catena elettronica? Non ci resta che sperare che domande come questa prima o poi finiscano in una clip.