Canta che non ti passa

di Filippo Ceccarelli («Il Venerdì di Repubblica», 22 febbraio 2019)

Canta che ti passa. O forse no, al contrario: è proprio la visione degli onorevoli canterini che intoppa e aggrava il tutto. È la loro innocente ilarità, l’euforia artificiale di una mezza giornata sottratta al tran tran della politica, l’atmosfera da leziosa comunella inter-partisan…Sanremo_da_pecora_2019Sono le mossette e i gorgheggi di casta che alimentano l’ansia e lo sconforto per qualcosa che va al di là dell’evento di cui qui sopra si vede l’atto terminale, la foto ricordo scattata da Fabio Cimaglia al momento della premiazione. Informano pigre e distratte cronache che, in parallelo con il festival della Canzone italiana, si è svolta in uno studio Rai la quarta edizione radiofonica, ormai, di Sanremo da Pecora, concorso di musica leggera rimasticata per la classe politica più malridotta, screditata e a repentaglio d’Europa. Con l’astuta e crudele conduzione di Geppi Cucciari e Giorgio Lauro, ha vinto quest’ anno un ulteriore ex craxiano (non è un insulto!) divenuto sovranista, Armando Siri, inventore della flat tax al 15 per cento. Secondo posto ad Alessandra Mussolini, sempiterna tele-regina del crash show. Per qualche misteriosa ragione non c’era l’ubiquo Gasparri, mentre si è avvertita la mancanza di due habitué bocciati alle elezioni come Formigoni e Razzi. In compenso s’è esibito alla tastiera l’onorevole berlusconiano Sisto, con cravattino fichetto, e il sindaco del Giglio Magico Nardella, che di mestiere è violinista. Poi altri assidui comprimari dell’inesorabile intrattenimento talk, a cominciare da Ignazio La Russa, che canta maluccio in pubblico da quasi un quarto di secolo, avendo partecipato al primo coro politico di Sanremo nel 1995 con la canzone Cosa sarà (rivelatasi un classico flop filantropico); quindi Andrea Romano e le onorevolesse Giammanco e Biancofiore, quest’ultima tuttavia senza la cagnolina Puggy, la quale a suo tempo accompagnò alla radio con spontanei guaiti l’esecuzione di Meno male che Silvio c’è da parte della sua padroncina. Ora, si avrebbe pure qualche scrupolo ad affrontare vicende di questo tipo con animo scandalizzato o apocalittico trasporto. Ma una ricerca fotografica della rassegna a ritroso negli anni due pensierini li suggerisce. Il primo è che più i parlamentari sono ignorati, scavalcati, ridotti a zerbino del governo e domani magari anche decimati, più finiscono per offrire al pubblico e a loro stessi occasioni di auto-svalutazione e dileggio. Come se una via di fuga fosse quella di rinunciare definitivamente al decoro esponendo la distanza tra il loro allegro esibizionismo e i problemi che affliggono gli elettori. Il secondo è che avrebbero pure motivo di cantare, ma le disgrazie della loro condizione; un canto triste, a sorpresa, una nenia nera e per una volta vera.