Conte, premier pop

di Guia Soncini (linkiesta.it, 6 luglio 2020)

Una delle ultime foto dell’ultima estate di Diana Spencer la raffigurava seduta sul bordo del trampolino della barca del suo allora fidanzato. Era perfetta: lei sola, seduta all’estremità più lontana dallo yacht che la ospitava, guardava l’orizzonte facendo intuire malinconie. Sono ventitré anni che vedo quella foto, ripubblicata ogni volta che la si rievoca, e sono ventitré anni che mi chiedo: sì, ma quelle subito prima e subito dopo?

Giuseppe Conte via Twitter
Giuseppe Conte via Twitter

Ci sarà dovuta arrivare, a quell’estremità di trampolino, magari percorrendolo un po’ traballante, sedendosi un po’ goffa. E poi come l’ha lasciato, il trampolino? Si è tuffata o si è voltata e carponi ha fatto il percorso a ritroso? Com’è possibile che, nell’epoca del trionfo del backstage, di certe foto che dovrebbero esser rubate ci ostiniamo a pubblicare la versione più impeccabile?

Ci ho ripensato vedendo Conte (il segnaposto, no il cantante) seduto su un cuscino per terra, una roba da non alzarsi mai più per l’artrite, nel simbolo del capriccio millennial, quel Cinema America che un gruppo di ragazzi ha deciso dovesse essere il suo spazio un po’ creativo un po’ militante ma comunque sovvenzionato, e uno Stato di genitori montessoriani non s’è opposto se non assai debolmente. Conte era con la fidanzata, e la fidanzata non era vestita da «andiamo a vedere un film in piazza, seduti per terra»: aveva quindici centimetri di tacchi, porella, e chissà che concentrazione per abbassarsi con garbo, per tenere le gambe accavallate, bravissima nel filmato in cui si siede, ma poi chissà Casalino se si è accertato che gli scatti mentre s’alzava andassero distrutti. Guardavo le foto e mi chiedevo da dove venissero i cuscini su cui i due avevano poggiato le natiche mentre, dietro di loro, i cittadini qualunque le poggiavano sui sanpietrini, al massimo su una giacca arrotolata. Sono cuscini di Palazzo Chigi, portati da Rocco? O c’è uno sponsor per i cuscini, ma solo per gli ospiti importanti?

Leggevo Filippo Ceccarelli, il più bravo, arrendersi, ieri, su Repubblica: tocca ammettere che Casalino, il più irriso, il suo lavoro lo sa fare – e la mente vacillava. Se avessimo trascorso gli ultimi vent’anni a sbagliare? A rimpiangere Pietro Taricone, il vincitore morale di quella prima edizione del Grande Fratello, e l’unico che in vent’anni sia parso meglio del contesto in cui si trovava; mentre invece la cosa giusta da fare sarebbe stata studiare Casalino, che, come il pesce di David Foster Wallace, si chiedeva cosa fosse l’acqua, Casalino che era esattamente il contesto in cui si trovava, e il contesto in cui si trovava era il futuro, e tutti quegli Orwell letti ma non capiti non ci hanno aiutato a metterci meno di vent’anni a capirlo.

Se Conte si fa fotografare mentre regge la maglietta dell’America («iconica», iperbolizza il sito di Repubblica), come un influencer di stilisti minori; se dice ai giornalisti «Appoggiamo una bella iniziativa», che, a seconda dell’angolazione da cui la guardi, o è la frase d’un incosciente che invita a occupare un po’ ciò che volete, tanto poi arriva la sanatoria, o è la soluzione da vecchio democristiano di alleartici se non li puoi battere; se convoca agli Stati Generali i più telegenici degli intellettuali suscitando la stizza degli altri, come in un giro di nomination dal confessionale; se tutto questo accade, dunque, è perché Casalino è il cardinale Mazzarino che questa epoca si merita? Certo, non sembrerebbe mellifluo come i libri di Storia ci riferiscono fosse Mazzarino ad ascoltare i suoi vocali (bisognerà, prima o poi, istituire dei seminari che addestrino i politici alle trappole della modernità: i messaggi vocali sono inoltrabili, e il vostro timbro si riconosce; non dite cose che non volete vengano diffuse, quando incidete note audio per i vostri interlocutori; anzi: non incidetele proprio). Semmai, un collerico Richelieu. Ma vai a sapere: magari ci sembrava solo una comparsa televisiva che aveva fatto carriera per caso, e invece conteneva moltitudini.

Una sola cosa fa sembrare un po’ finte le foto all’America: le mascherine. Analogo problema hanno i rotocalchi: ogni foto di celebrità, ogni finto rubato cui prima fingevamo di credere, adesso, con la mascherina abbassata in favore d’obiettivo, si svela per il posato che è. Con la mascherina neppure abbassata, ma sempre a coprirgli ligia la faccia, il presidente seduto per terra sembra una comparsa di qualche baracconata kitsch, La casa di carta o giù di lì.

Una sola temibile rivale, all’orizzonte, al regno di Casalino. Forse l’avete vista, si chiama Alessandra Cantini: i giornali ce la raccontano come attrice, scrittrice, ex candidata di Forza Italia; le righe biografiche con cui si racconta su Instagram dicono «Dott.ssa and artist». Alessandra chiama la mascherina “museruola”; venerdì è andata a chiedere una foto a Conte ed è stata redarguita perché non la indossava, gli ha detto «Ho quasi sostenuto l’esame di Diritto Privato con lei» (quel «quasi» pure contiene moltitudini), e poi ha instagrammato l’autoscatto con la didascalia «Avete lasciato gli italiani in mutande, ma io non le porto mai». Sabato era su un treno per Livorno e postava video in cui, tra le altre cose, diceva meraviglie come «Se potete spendere per comprare qualcosa di bello, usatelo, vivetelo: sennò siete poveri»; e, per spiegare che non cancella mai i commenti offensivi, «su questo sono molto simile a Salvini: noi dei Pesci». Solo che, concludeva, lei è meglio di Salvini, perché non si farebbe mai cacciare dal governo, come lui «e Gorbaciov». Alessandra è la politologa che ci meritiamo. Fossi Casalino le scriverei una lettera di raccomandazione per i provini del Grande Fratello Vip: Mazzarino la concorrenza se la toglierebbe di torno così.