Il tic dei concerti dopo le disgrazie

di Guia Soncini (linkiesta.it, 27 maggio 2023)

Prima di Do they know it’s Christmas?, i bambini africani erano un concetto astratto: il ricatto con cui ai bambini italiani venivano fatte mangiare le verdure. Finisci quello che hai nel piatto, non ci pensi ai bambini che muoiono di fame in Africa? Adesso, che ogni volta che apriamo un video di YouTube parte una pubblicità di Save the Children in cui bambini con la pancia gonfia e ricoperti di mosche ci ricordano quanto siamo fortunati ad avere non solo le verdure ma gli antibiotici, quasi non ci ricordiamo che c’è stato un tempo prima di Bob Geldof.

Nasa

Prima dell’automatismo: c’è una disgrazia qualunque? Ecco pronto il concerto che raccoglie fondi per la buona causa x. Terremoto? Concerto. Alluvione? Concerto. Guerra? Concerto. Naturalmente a nessuno del pubblico frega particolarmente della buona causa: io andai a sentire Amiche per l’Abruzzo, a San Siro, e neppure so i capoluoghi dell’Abruzzo; andai a sentire il Concerto per l’Emilia, al Dall’Ara, perché c’era Guccini, mica perché sensibile al problema abitativo dei terremotati emiliani. Altrettanto naturalmente, la copertura contenutistica è un bel regalo alle nostre coscienze: non sono qui per divertirmi, sono qui per aiutare chi è in difficoltà. (L’elenco di cose che avremmo potuto prendere dalle abitudini degli Stati Uniti d’America è sterminato: le produzioni televisive ben scritte, gli stipendi, l’ascensore sociale che funziona, i cappuccini da mezzo litro; invece, abbiamo deciso d’importare la convinzione demente che sia meglio che le sorti delle persone sfortunate siano affidate alla beneficenza e alla buona volontà dei singoli, che alle tasse e ai governi).

Il tic per cui a disgrazia segue concerto è così pervasivo che gli abitanti delle zone alluvionate, prima ancora di finire di scrollarsi il fango di dosso, andavano sugli account social dei cantanti a dire dovete venire qui a fare un concerto per aiutarci. E i cantanti mica rispondevano ma se veniamo lì creiamo solo inutile traffico e sottraiamo ambulanze vigili e tutte le risorse territoriali che bisogna veicolare su un concerto e che in questo momento a voi servono per altro (gli abitanti del XXI secolo non li trattano come adulti i politici: perché dovrebbero farlo i cantanti?). Invece di dire “ma quale concerto”, hanno tutti passato le giornate a ricevere richieste di partecipazione a concerti per aiutare le zone colpite. Spuntano concerti a sostegno dell’Emilia-Romagna come prefabbricati dopo un terremoto: c’è quello di Reggio Emilia a fine giugno, quello di Imola a inizio agosto, ce n’è uno stasera a Rimini, e ogni giorno qualcuno chiama i cantanti emiliani (una regione con una densità di cantanti superiore a quella di sfogline) dicendo non puoi mancare al mio evento, c’è bisogno di te, sarai mica insensibile.

Il centro dell’attenzione a mezzo contiguità con la disgrazia è un fenomeno che si può osservare da molte angolazioni – Matteo Lepore, sindaco di Bologna che va in visita ai comuni vicini perché in città non c’è più nessuna conseguenza da alluvione con la quale instagrammarsi, sarà geloso di Stefano Bonaccini, che in quanto presidente di regione ha molti più alluvionati con cui fotografarsi? – ma quella degli organizzatori di concerti è sottoposta a un giudizio morale che attiene alle pregresse antipatie e simpatie. E quindi: se Imola ha una reputazione migliore rispetto a Reggio Emilia è perché Stefano Domenicali, che organizza il concerto all’autodromo, ha sospeso il Gran Premio (cioè: ha fatto tre giorni dopo ciò che non ha fatto l’organizzazione di Springsteen tre giorni prima).

Il povero Ferdinando Salzano, invece, che organizza il concerto a Campovolo, non sta simpatico alla gente che piace, e in più c’è di mezzo Mazzi (santo cielo, quindi è beneficenza governativa?), e poi perché a Reggio quando la Romagna è stata più colpita dell’Emilia? (Se pensate che i toscani abbiano un problema di campanili, non sapete cosa succede da un codice postale all’altro dell’Emilia-Romagna, una regione capace di dividersi sul nome da dare a ciò che c’è nel mio cucchiaio in questo momento: tortellino o cappelletto?). Se provi a chiedere a gente del settore se non sia più utile e semplice fare un assegno da 100mila euro invece di andare a portare sul territorio il casino che è l’organizzazione d’un concerto, ti rispondono che insomma, mica sono i soldi, è anche una questione di sensibilizzazione.

Facciamo finta di crederci: facciamo finta che il problema non sia che per una popstar è più conveniente far beneficenza coi soldi del mio biglietto (e al contempo dare una botta di presentabilità alla propria immagine: essere a favore della solidarietà con gli alluvionati è una delle poche scelte su cui nessuno avrà da ridire, in questo tempo litigioso). Facciamo finta di apprezzare le buone cause e di non credere che la cosa migliore che abbia mai fatto Damiano dei Måneskin, uno di cui nessuno ricorderà mai una canzone, sia – in giorni in cui tutti si struggono per l’Emilia-Romagna – fotografarsi nudo con una canna, fottendosene dell’attualità come ciò che non è: una vera rockstar del mondo pregeldofiano. Ma questa questione della sensibilizzazione funziona? A cosa ci sensibilizza, il concerto in territorio alluvionato: all’importanza di poter ricaricare anche durante l’alluvione il telefono per farci il filmino durante il ritornello? A quante buone cause possono essere sensibilizzati, i poveri cittadini, se ogni disgrazia ha il suo bravo concerto e tutte le disgrazie sono demandate alla sua coscienza e mai alle organizzazioni preposte a occuparsene?

Non vorrei semplificare troppo, ma ho il sospetto che se, trentotto anni dopo il Live Aid, mi partono sul telefono le pubblicità sui bambini africani poveri – nipoti dei bambini africani poveri che il nostro guardare Freddie Mercury e David Bowie in televisione avrebbe dovuto emancipare dalla povertà – ecco, allora alla buona volontà dei singoli, dei ritornelli, dell’agitare gli accendini e dell’autoscattarci con motivazioni benefiche, a tutto questo possa essere demandata al massimo una serata d’intrattenimento, ma non la soluzione dei problemi. Quelli sono rimasti poveri, e noi abbiamo continuato a preferire la Nutella alle verdure: in un secolo di canzonette peggiori, perché l’esito dovrebbe essere diverso?