In America sono tutti affari di famiglia

di Simona Siri (ilfoglio.it, 1° novembre 2020)

Quando, all’inizio del 2018, Hbo iniziò a promuovere una nuova serie televisiva intitolata Succession, il suo creatore Jesse Armstrong passò il 90 per cento del tempo dedicato alle interviste con la stampa destreggiandosi nel tentativo di non dare una risposta troppo definitiva alla domanda che incuriosiva tutti: quella che vediamo sullo schermo è la famiglia Murdoch? Arrivata alla terza stagione in modo trionfale – Golden Globe come migliore serie drammatica e nove Emmy tra cui miglior regia, scrittura, serie drammatica e attore, Jeremy Strong nella parte di Kendall – gli spettatori ormai un’idea se la sono fatta.

Ph. Rogier Hoekstra / Pixabay
Ph. Rogier Hoekstra / Pixabay

E possono decidere in autonomia se e quanto i Roy assomiglino ai Murdoch – i proprietari di News Corporation e quindi del New York Post, del Wall Street Journal e soprattutto di Fox News –, la famiglia che più di ogni altra ha contribuito non solo a cambiare gli Stati Uniti ma all’ascesa politica di Donald Trump. «Penso che tra Rupert Murdoch e Donald Trump ci siano molti paralleli ed è importante riconoscerli», dice al Foglio Brian Stelter. Capo della redazione media della Cnn e conduttore del settimanale Reliable Sources, Stelter è l’autore di Inganno (pubblicato in Italia da NR Edizioni), saggio in cui analizza il legame tra Fox News e Trump, partendo dal presupposto che non si può capire l’America di oggi se non si conosce la storia del canale tv via cavo più seguito degli Stati Uniti.

«Entrambi gestiscono le loro attività come aziende di famiglia, perché quello in effetti sono, basta vedere il ruolo dei figli. Il che significa che non sono abituati a essere criticati o sfidati, governano con il pugno di ferro all’interno dei loro feudi. Questo è anche il motivo per cui la presidenza è un ruolo completamente sbagliato per Trump. E anche la ragione per cui lui e Rupert hanno un certo rispetto l’uno per l’altro, a causa delle loro somiglianze». Non è sempre stato così. Come ricostruisce Stelter, quando Trump inizia la sua campagna, Murdoch dice di detestarlo. «Rupert era sempre stato il tipo di repubblicano alla Paul Ryan o alla Jeb Bush», si legge nel libro. «Appoggia una riforma globale dell’immigrazione, tagli fiscali e regolamentazioni più lasche, non una retorica del tipo “i messicani sono stupratori”. Dietro le quinte, Murdoch durante le primarie cerca di sostenere la candidatura di Ben Carson, che praticamente si prepara alla corsa facendo l’opinionista su Fox. E incita altri, come Michael Bloomberg, a salire sul ring». Una volta eletto Trump, Murdoch ci mette ben poco a farsene una ragione. «È un uomo molto pragmatico, più di Donald. Fa ciò che è pratico per aiutare i suoi affari e se per il momento ciò significa sostenerlo come presidente, va bene così. Magari non sarà per sempre».

Ovviamente, in privato è un’altra storia: in Inganno ci sono diversi esempi di come dietro alle sue spalle Murdoch si riferisca a Trump come a un idiota. «In parte penso sia dovuto alla frustrazione nel dover trattare con una personalità così», spiega Stelter. «Ma c’è una certa quantità di rispetto riluttante che è stato in grado di assicurarsi vincendo la presidenza. E Rupert è certamente interessato a come possono essersi utili a vicenda, come Fox può avvantaggiare la Casa Bianca e come la Casa Bianca può avvantaggiare Fox». In una parola: come far soldi. «Fox è una macchina da profitto e negli anni di Trump è più redditizia che mai». La “foxificazione dell’America”, come la chiama Stelter, inizia nel 1996, quando Rupert Murdoch – figlio d’arte: ereditò una catena di giornali australiani da suo padre, reporter di guerra diventato editore, nel 1952. All’epoca aveva 22 anni e si era appena laureato all’Università di Oxford – ha l’intuizione geniale di dare in mano al consulente politico repubblicano Roger Ailes un canale di sole news che potesse piacere ai conservatori, dal momento che, secondo lui, tutti gli altri canali di notizie sono sbilanciati dalla parte democratica e liberal.

Il resto è storia: oggi Fox News è una corazzata inarrestabile, sia come ascolti sia come introiti (due miliardi di utili l’anno). Soprattutto, è una macchina di propaganda dedicata 24 ore su 24 e con rarissime eccezioni al culto di Trump e della sua Amministrazione. «Foxificazione significa aver costruito negli anni una massa di spettatori polarizzati e arrabbiati, molto poco interessati ai fatti, ma molto sensibili alle emozioni. Fox è quasi un’identità per i suoi fan, uno stile di vita. La accendono alla mattina e la guardano tutto il giorno. E ascoltare tutto il giorno la storia che i democratici sono malvagi e che i repubblicani sono gli unici a proteggerti dal male alla fine è convincente. Fox ha cambiato il Partito repubblicano e i cambiamenti nel Partito repubblicano hanno cambiato l’America. Non siamo più nell’epoca di Reagan o Bush, siamo nell’America di Trump, e questa America è stata resa possibile da Fox».

Dal definire il Coronavirus una bufala al diffondere notizie false su praticamente ogni aspetto della vita politica e sociale passando per la diffusione di teorie cospirazioniste buone per i forum su Facebook, è difficile per i non americani capire come sia possibile che Fox News operi comunque come testata giornalistica. «Fox ha molte cose all’interno di un marchio ombrello. È una macchina politica. È il braccio che fa propaganda, ma è anche una redazione. Impiega centinaia di veri giornalisti che fanno di tutto per cercare di separarsi dalla propaganda. Negli anni di Trump è indubbio che la redazione sia stata soffocata sotto il peso di molte sciocchezze. Eppure è protetta dal primo emendamento della Costituzione, libertà di parola. E non c’è verso che gli americani ci rinuncino. L’americano medio vuole più dibattito e più punti di vista, non meno. Mi rendo conto che “freedom of speech” siano tre parole usate per giustificare molte cose, inclusi odio e veleno, ma sono parole radicate nella psiche americana. Qualunque conversazione sul loro limite avviene a livello intellettuale, tra gli accademici e gli scrittori, non certo tra la gente».

Rupert Murdoch ha 89 anni. Nel gennaio del 2018 – poco dopo aver venduto la 21st Century Fox alla Disney per 52,4 miliardi di dollari – ha avuto un incidente mentre era in vacanza sulla barca del figlio Lachlan. Due vertebre rotte e un ematoma spinale avevano fatto temere il peggio, la paralisi se non addirittura la morte. Oggi sta bene, si è ripreso completamente. Nonostante la sua televisione abbia speso mesi a deridere l’uso delle mascherine e a minimizzare la pericolosità del Coronavirus, molte fonti sostengono che sarebbe disgustato dal modo in cui Trump ha gestito l’emergenza sanitaria. Secondo un’inchiesta del Daily Beast avrebbe predetto – dalla sua villa nello Oxfordshire dove vive con la quarta moglie Jerry Hall – una vittoria schiacciante di Joe Biden, con la motivazione che «dopo tutto quello che è successo, la gente è pronta per Sleepy Joe». Alla sua morte ci sarà una battaglia per le sorti di News Corporation e quindi anche di Fox. «È questione di tempo, ma prima o poi lo scontro tra il figlio conservatore Lachlan, al momento in controllo dell’azienda, e quello progressista James accadrà». In Succession il personaggio di Kendall Roy – il figlio predestinato che però il padre considera debole e con il quale ha una relazione complicata quanto disfunzionale, un trionfo di passivo-aggressività – ha il volto sempre un po’ triste del bravissimo Jeremy Strong. Nella vita sarebbe lui James, quello sensibile, progressista, democratico.

A luglio, e dopo aver contestato duramente la posizione di Fox sul cambiamento climatico e il modo in cui sono stati raccontati gli incendi in Australia, James si è dimesso dal Consiglio di Amministrazione di News Corporation citando “disaccordi editoriali”. Secondo Stelter, lui e le due sorelle – Elisabeth, figlia della stessa madre, e Prudence, avuta dalla prima moglie – si starebbero muovendo in modo da essere pronti a strappare il controllo a Lachlan appena ce ne sarà l’occasione. «La famiglia Murdoch controlla l’azienda attraverso un trust in cui ogni figlio adulto ha un voto. Se James riuscisse a portare le due sorelle dalla sua parte, potrebbe escludere Lachlan. Le mie fonti mi dicono che le sorelle sono fondamentali e potrebbero essere propense». Difficile però immaginare una Fox News che improvvisamente diventa democratica, nonostante James e sua moglie Kathryn abbiano donato un milione di dollari alla campagna di Joe Biden. «Non credo che James trasformerebbe Fox News in un canale di Sinistra. Più moderato però sì, senza il contenuto estremo che va in onda in questo momento. Non credo che tutti gli ascoltatori di Fox siano persi per sempre. In alcuni, i fan occasionali diciamo, si potrebbe ristabilire fiducia nei media. Non è semplice, ma sono ottimista. Guarda quello che è successo con la copertura della pandemia».

Schiacciati dal peso del giornalismo rigoroso fatto giorno dopo giorno da altre testate, anche a Fox News avevano incominciato ad ammettere la pericolosità del virus, salvo poi rimangiarsi tutto dopo la guarigione lampo di Trump. Alla fine si torna sempre a lui, a un presidente che trascorre gran parte della giornata attaccato alla tv, che chiama in diretta la trasmissione Fox & Friends un mattino sì e uno no, che sostiene che senza di lui reti come Cnn e Msnbc rischierebbero di chiudere, private dell’argomento principale di cui parlare. Il che può essere vero; ma dovrebbe valere anche per Fox News, no? «Fox vince in ogni caso», risponde Stelter. «Ha un pubblico fedele a cui è stato detto per decenni di non fidarsi di altre fonti di informazione. Da canale pro Trump, diventerà canale anti Biden. E quindi funziona in entrambi i casi. Senza contare che, se dovesse perdere le elezioni, Trump non andrà proprio da nessun parte, continuerà a essere parte della conversazione e della vita politica». Da anni circola voce che voglia aprire un suo canale di informazione. Benvenuti quindi nella seconda stagione della Trump Tv.