La candidatura di Kanye West non è seria, ma nemmeno uno scherzo

(ilpost.it, 10 agosto 2020)

La candidatura a presidente degli Stati Uniti del rapper Kanye West, annunciata lo scorso luglio e inizialmente considerata l’ennesima trovata promozionale di una celebrità nota per il suo ego smisurato e per gli annunci provocatori, è in realtà un progetto con una certa concretezza, e che si è scoperto essere legato piuttosto direttamente a personaggi del Partito Repubblicano. Di candidature insolite o improbabili ce ne sono a ogni elezione statunitense: ma interpretare quella di West è più complicato del solito, principalmente per via dei noti problemi di salute mentale del rapper, che anche sua moglie Kim Kardashian ha collegato alla candidatura.

Ph. Lauren Petracca / The Post And Courier via Ap
Ph. Lauren Petracca / The Post And Courier via Ap

«La sua campagna elettorale non è seria, ma non è nemmeno uno scherzo», ha scritto Ben Jacobs sul New York Magazine. «Ha aspetti del vanity project [cioè un progetto che ha principalmente lo scopo di appagare l’ego di chi lo porta avanti – N.d.R.] e di un’operazione di sabotaggio da parte dei Repubblicani, ma anche queste sono definizioni incomplete. È invece una creazione del tutto originale, finora sconosciuta alla scienza».

Nelle settimane successive all’annuncio della sua candidatura, West non ha fatto campagna elettorale ma è riuscito a presentarsi ufficialmente in nove Stati, e sta aspettando l’approvazione in diversi altri. Naturalmente non ha alcuna possibilità di vittoria, non fosse altro perché non riuscirà a candidarsi in un numero sufficiente di Stati per arrivare anche solo potenzialmente ai 270 “grandi elettori” necessari per diventare presidente. Ma il suo nome sarà comunque sulle schede elettorali di milioni di persone, anche in Stati come il Wisconsin e l’Ohio che si pensa saranno in bilico tra il presidente uscente Donald Trump e il suo principale sfidante Joe Biden. In altri Stati, West ha presentato le firme oltre la scadenza. In altri ancora, come il New Jersey, le firme presentate sono state respinte perché giudicate false. Ce n’erano di incomplete, altre non corrispondevano al nome indicato, in altre mancavano gli indirizzi, e in generale «erano state fatte letteralmente tutte dalla stessa persona» secondo l’avvocato che ha presentato ricorso, poi accolto dal tribunale.

Tutta l’operazione comunque non sembra coordinata direttamente da West, se non alla lontana. Ci sono, infatti, elementi che suggeriscono che la candidatura di West non sia solo l’ossessione personale di un artista che da anni passa alle cronache principalmente per dichiarazioni sconclusionate e tracolli nervosi in pubblico. Nei giorni scorsi, i giornali americani hanno scoperto che per la campagna elettorale di West lavorano alcuni noti personaggi del Partito Repubblicano. Lane Ruhland, avvocatessa che ha già rappresentato Trump e che ha lavorato per il Partito Repubblicano del Wisconsin, è stata la persona che ha presentato le firme nello Stato. Gregg Keller, ex capo della American Conservative Union, un’influente organizzazione conservatrice, è indicato come il referente della campagna di West in Arkansas e ha partecipato alle operazioni per la registrazione in Ohio. In Colorado la campagna di West è seguita da Rachel George, ex direttrice della comunicazione per il senatore Cory Gardner, del Partito Repubblicano.

Per questo il New York Times ha scritto che la campagna elettorale di West «sembra sempre di più un’operazione coordinata dagli alleati di Trump e dagli attivisti Repubblicani, volta a sottrarre voti a Joe Biden». Trump ha detto di non saperne niente ma ha anche detto di stimare West e di trovarsi bene con lui, riservando quindi un trattamento insolitamente favorevole a un suo sfidante alla presidenza. Lo stesso Trump ha suggerito che West possa togliere voti a Biden: un’ipotesi che, effettivamente, è stata presa in considerazione dagli analisti politici. In generale, nessuno pensa che la candidatura di West possa avere un grande impatto.

Ma vista l’impopolarità di Trump e il profilo di Biden – bianco, anziano e moderato – c’è chi pensa che West possa ottenere un po’ di seguito, specialmente tra i più giovani e tra gli afroamericani, pur non essendo esattamente un progressista. E, in questo senso, «potrebbe non importare se West stia sabotando deliberatamente Biden, se sia un uomo malato mentalmente usato come fantoccio, o ancora qualcos’altro», ha scritto il New York Magazine. Non è detto però che West debba necessariamente togliere voti a Biden, visto che da anni si dice vicino a Trump e al Partito Repubblicano, e ha posizioni tutt’altro che progressiste su questioni come l’aborto. «La mia migliore ipotesi è che la fascia demografica in cui andrà più forte sarà una nicchia di elettori giovani, nichilisti, principalmente bianchi e che probabilmente hanno votato per Trump l’ultima volta» o comunque non voterebbero Biden, ha detto Tom Bonior, direttore di una società di analisi elettorali vicina al Partito Democratico.

A rendere ancora più strana la candidatura di West c’è il fatto che lo stesso West è stato relativamente poco coinvolto. In quasi un mese l’ha annunciata su Twitter, ha fatto un evento elettorale un po’ assurdo in cui si è messo a piangere e ha rilasciato un paio di interviste. Il resto lo hanno fatto i funzionari del suo comitato elettorale, mentre lui nei giorni scorsi è stato con la famiglia ai Caraibi. Pochi giorni dopo lo stranissimo evento elettorale in South Carolina, che era stato documentato e commentato abbondantemente dai giornali e dai siti americani, sua moglie Kim Kardashian aveva scritto un messaggio pubblico ricordando che West soffre di disturbo bipolare, e chiedendo compassione ed empatia ai media e al pubblico. Poco prima West aveva scritto – e poi cancellato – un tweet in cui la accusava di aver tentato di farlo “rinchiudere” da un dottore.

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La delicata situazione personale di West, quindi, rende complicato capire in cosa consista davvero la sua candidatura. Da tempo un’opinione diffusa è che, proprio come chiede la Kardashian, i media dovrebbero dare molto meno spazio alle sue uscite e ai suoi progetti sconclusionati. Ma descrivere come totalmente irrilevante la candidatura di una persona famosissima a cui stanno lavorando consulenti e avvocati con una lunga esperienza nel Partito Repubblicano non sarebbe utile né corretto nei confronti degli elettori. Nell’ultima intervista a Forbes, West non ha dato delle vere risposte alle domande sul perché si sia candidato, su quali legami abbia con i Repubblicani e se ritenga di essere usato da altri per fini politici.