Oprah Winfrey presidente è una boutade, ma c’è già il merchandising

(linkiesta.it, 16 gennaio 2018)

Negli Usa vige una regola sola: tutto è buono per fare affari. Ad esempio, l’ipotesi di una candidatura per Oprah Winfrey, conduttrice e presentatrice nera e multimiliardaria, saltata fuori dopo il suo discorso alla premiazione dei Golden Globe, ha subito acceso gli entusiasmi degli elettori dem.Oprah-kissed-WeinsteinSi sono già sentiti gli slogan (“A new day is on the horizon”), le feste sui social, le grida di giubilo dei sostenitori. E, soprattutto, si è mossa la macchina del merchandising. Anche se è ancora tutto un’ipotesi, anche se nessuno dei vertici del Partito Democratico si è sbilanciato, anche se niente c’è di ufficiale e molto poco di ufficioso, circolano già magliette, cappellini, spille e felpe. Tutte con la scritta “Oprah 2020” (dimenticandosi – ma celebrité oblige – il cognome). Insomma, negli States si fanno soldi anche sulle candidature campate per aria. O almeno, ci provano. Del resto i rumors abbondano: alcuni sostengono che la conduttrice sia “interessata all’idea”, altri invece ricordano come, in realtà, abbia ripetuto più volte di non voler scendere in campo (senza usare questa espressione specifica che è, come è noto, di conio berlusconiano). La verità è che non si sa come andrà, non si sa chi correrà per la Casa Bianca per il 2020 e nemmeno è scontato che lo stesso presidente Usa, Donald Trump, ci proverà ancora. Questo non impedisce speculazioni di ogni tipo: né intellettuali – persone che discutono sulla validità della Winfrey come presidente, e che ragionano sul fatto che no, un presidente-celebrity non si può vedere, non va bene, ne abbiamo già uno non vedete i risultati? però sarebbe comunque meglio di Trump perché parla meglio (dimenticandosi che Trump prima di diventare una star della tv è stato ed è ancora un imprenditore dell’edilizia) – e neppure speculazioni più concrete, cioè monetarie: l’oggettistica, appunto, i cappellini e le maglie. In fondo a tutto, rimane la coscienza della disperazione dell’elettore americano. Sempre bravo, però, a farsi infinocchiare: prima da un campione dell’élite newyorchese che li convinceva a votare per lui perché era contro le élite, ora – forse – da una star della televisione che fa tanti discorsi sulla parità dei generi e sulla riscossa femminile e che, quando c’era da ribellarsi alle azioni sciagurate di Weinstein, se ne è rimasta pacifica con la bocca chiusa. O meglio, un filo aperta: giusto quanto serviva per dargli un bacio sulla guancia.