Quelli che affittano le folle a politici e vip

Un’agenzia di Los Angeles offre un nuovo servizio: comparse a pagamento per esibire un vasto pubblico di sostenitori. Pare che Trump vi abbia fatto ricorso. Ma lui nega…

di Luciana Grosso («Il Venerdì di Repubblica», 16 settembre 2016)

Non è tutta vera fama quella che luccica. Non sono tutti veri fan quelli che urlano e aspettano. Almeno non più da quando esistono le agenzie che offrono «folle in affitto», un servizio con cui, al prezzo medio di 10mila dollari per evento, noleggiano figuranti disposti a fingersi fan implorando un autografo e paparazzi agguerriti accanto a speranzosi e sinceri elettori.cover-folleA fornire il servizio sono agenzie specializzate, che per lo più operano nell’ombra. Una di queste, una delle pochissime che lo faccia apertamente, in piena trasparenza, è la Crowds on Demand di Los Angeles, città scelta non a caso, visto che è piena di attori disoccupati. L’ha fondata, nel 2012, Adam Swart, esperto in Scienze Politiche che, almeno all’inizio, offriva solo servizi di immagine a convegni ed eventi pubblici e che a un certo punto ha capito che la massiccia presenza di un pubblico in carne e ossa è la più potente arma di pubblicità capace di attirare l’attenzione. «Il nostro lavoro ha a che fare con la percezione, niente di più» spiega «è solo questione di marketing, non di politica». I servigi dell’agenzia vengono offerti soprattutto ad attori in declino interessati a far vedere quanto ancora la loro stella brilli e come siano in grado di mobilitare le folle, o a candidati che vogliono mostrare il peso del loro portafoglio elettorale. «Noi non siamo politicizzati, lavoriamo con i repubblicani, con i democratici, e anche con gruppi terzi. Non abbiamo alcun limite, solo una regola: non lavoriamo con i gruppi che istigano all’odio, per il resto questo è il nostro lavoro». Un lavoro che soprattutto in periodo di campagna elettorale è richiestissimo e che lascia spazio a non poche perplessità di tipo etico: perché «gonfiare» una campagna che altrimenti passerebbe inosservata? Perché dare visibilità a messaggi che, da soli, non ne avrebbero? Perché si vuole influenzare il pubblico e gli elettori «regalando» ad attori e politici un consenso e un seguito che non hanno in realtà? Domande a cui è difficile rispondere e che nel 2014 sono state affrontate in un saggio pubblicato dal sociologo della Ucla Edward Walker, Grassroots for Hire (Cambridge University Press). Swarn sostiene tuttavia di «non aver inventato niente: oggi le persone sono in cerca di metodi di comunicazione efficaci e non convenzionali. Fino a qualche anno fa spendevano 100mila dollari per una pagina sul Washington Post, oggi ne spendono 10mila per ottenere un risultato uguale o forse maggiore». Sebbene l’Agenzia non divulghi i nomi dei suoi clienti, in molti casi ci hanno pensato i giornali a smascherare i figuranti, spulciando nei bilanci della campagne (dove le spese vengono rendi contate) o affidandosi alle indiscrezioni degli attori stessi o spulciando tra i visi delle varie manifestazioni e scoprendo che, gira e volta, erano sempre gli stessi. Così, pare che in affitto fossero i manifestanti anti Gay Pride, a New York, pochi mesi fa; i Trump-entusiasiti che nella primavera 2015 inneggiavano nell’atrio della Trump Tower all’annuncio della candidatura per la nomination repubblicana (però Trump nega categoricamente) e i sostenitori della campagna The Six Californias (peraltro fallita) che puntava a dividere la California in sei mini-Stati indipendenti l’uno dall’ altro. Tutte queste campagne non sono poi andate particolarmente bene (a parte quella di Trump…) ma l’esperimento sembra funzionare, tanto che I’idea di Swarn è di aprire entro il prossimo anno altre sedi in Gran Bretagna, Dubai e India. E comunque già si moltiplicano i «tentativi di imitazione»: valga per tutti quello francese di Easycrowd e quello inglese di Rent a Crowd.