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Il racconto dell’influencer

di Guia Soncini (linkiesta.it, 27 settembre 2022)

«Oggi inizia la resistenza», twitta Francesca Michielin, che di mestiere presenta X Factor, ma è evidentemente pronta non dico a salire sulle montagne col mitra ma almeno ad andare a Cortina con un paio di sci nuovi (spero che gli impianti ampezzani di neve finta siano migliorati rispetto ai miei tempi, quando la rivoluzione volevamo farla, pensa te, contro la Dc, ma almeno non avevamo luoghi pubblici in cui dichiarare la nostra scemenza giovanile). Il giorno prima, mentre l’Italia votava come ampiamente previsto Giorgia Meloni, la sinistra dell’Instagram s’indignava per le stronzate, come aveva fatto per tutto il resto della campagna elettorale e della vita. È normale che sia così: siamo una società in cui il benessere è diffuso e i bisogni primari sono soddisfatti, ci resta tempo per occuparci di stronzate e quindi lo facciamo. Il dettaglio grave è l’apparente incapacità di distinguere tra le stronzate e le cose serie, riuscendo ad avere l’approccio sbagliato a entrambe.

Ben Daniel

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Come si è ridotto il red carpet della Mostra di Venezia, preda dei “morti di follower”

di Manuela D’Alessandro (agi.it, 9 settembre 2022)

Quest’anno sul red carpet di Venezia è successa una cosa mai vista. Una proposta di matrimonio si è intromessa nella sfilata sul rosso del cast di The Son, il film drammatico in cui Hugh Jackman interpreta il padre di un figlio depresso. Alessandro Basciano ha chiesto in ginocchio a Sophie Codegoni di sposarlo porgendole un anello a celebrare la svolta della storia nata durante Il Grande Fratello. Belli, giovani, influencer, stanno facendo impazzire Instagram postando ogni frammento della loro avventura, ma attirando anche la ferocia di chi vede in questo episodio il momento più cafone della “desacralizzazione” del tappeto in corso da qualche tempo. Non più ambita striscia che possono calcare solo i divi, o almeno chi abbia un qualche legame col cinema, ma un tappeto “in vendita” accessibile a chiunque debba promuovere sé stesso o un prodotto, che sia un diamante o un telefonino.

Starpix / Apa-PictureDesk via Afp

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I politici non dovrebbero stare sui social, ma perché trascurano TikTok?

di Guia Soncini (linkiesta.it, 5 agosto 2022)

Partiamo dalla fine (decidete voi la fine di cosa), ovvero da: se le tue proposte elettorali sono dare soldi ai diciottenni e il voto ai sedicenni, dove le comunichi? Nel posto più frequentato da sedicenni e diciottenni, che (purtroppo) non è più l’oratorio e (per fortuna) non è mai stato Twitter. Il posto più frequentato dai ragazzini (ma anche dagli adulti attenti ai fenomeni in ascesa) è TikTok. Enrico Letta non ha un account su TikTok, e questo sarebbe quasi tutto quel che ho da dire su questa campagna elettorale. Poiché Linkiesta pretende che scriva più di cinque righe, aggiungerò un paio di dettagli. Il primo è che su TikTok non ci sono neanche Matteo Renzi e Carlo Calenda. Il secondo è che la ragione per cui me ne sono accorta è che volevo che questo articolo parlasse del fatto che i politici italiani passano troppo tempo sui social.

Florian Schmetz / Unsplash

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Da Ferragni a Elodie, gli influencer che possono spostare voti

di Lidia Sirna (ilmattino.it, 26 luglio 2022)

In principio c’era solo la coppia più pop del web: Chiara Ferragni e Fedez. Poi si è capito che l’intrattenimento di massa si era spostato sui social e così gli influencer della politica si sono moltiplicati. Oggi nascono, crescono e poi si schierano. Se i Ferragnez sono diventati la coppia più nota d’Italia, del resto, lo si deve anche – forse – al loro attivismo politico e sociale. Durante la prima ondata della pandemia di Covid-19, tanto per fare un esempio, organizzarono una raccolta fondi per costruire un reparto di terapia intensiva. Gesto che è valso loro il prestigioso Ambrogino d’Oro, consegnato direttamente dal sindaco di Milano Beppe Sala. Capita, dunque, che la più classica delle dinamiche italiane (la caduta di un governo dopo un ultimatum) travalichi i binari della comunicazione tradizionale e paludata.

iStock

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Libri come accessori

(ilpost.it, 25 aprile 2022)

Qualche giorno fa, in un articolo del New York Times, il giornalista Nick Haramis ha raccontato che a Los Angeles si parla dell’esistenza di un professionista che i personaggi famosi pagherebbero per scegliere al posto loro i libri da leggere, o meglio: quelli con cui comparire in pubblico e farsi fotografare, indipendentemente che li si legga o no. Il compito del o della “book stylist” non sarebbe infatti di consigliare delle letture ma di trattare i libri come fossero vestiti, borse e gioielli, come degli accessori insomma, da accordare alla celebrità o all’influencer in questione. Al momento non si sa chi si serva del suo aiuto – scoprirlo rovinerebbe il senso del suo lavoro – e, scrive Harris, la sua identità «come nei finali più inquietanti della letteratura, rimane un mistero». Non è certo la prima volta che i libri sono trattati solo dal punto di vista estetico o per suggerire una certa idea intellettuale di sé: per esempio, i professionisti a cui rivolgersi per riempire la libreria di casa in base alle tonalità del soggiorno esistono già.

Mega / Tmz

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Una comfort zone ovattata e rassicurante. La tv di Stato russa prima e dopo la guerra

di Francesca Lazzarin / Memorial Italia (huffingtonpost.it, 11 luglio 2022)

“Forse, per capire dove ci stavamo spingendo, avremmo dovuto guardare più spesso la tv”, mi scrive sgomento un amico e collega, giovane docente universitario russo, due giorni dopo il 24 febbraio. Perché lui preferisce canali privati e progressisti come Dožd’ (conosciuto in Europa come Tv Rain, che ha chiuso forzatamente i battenti pochi giorni dopo l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina) e la televisione di Stato russa non l’ha mai seguita in vita sua, snobbandola e sminuendone erroneamente il potere manipolatorio. “Puoi vedere la televisione russa in Italia? Se puoi, guardala, lì ti spiegano le cose come stanno. Così capirai anche tu che non c’è niente di cui preoccuparsi”, mi dice invece tutta tranquilla e sicura, sempre due giorni dopo il 24 febbraio, un’affabile signora russa a cui impartisco lezioni di Italiano e che inaspettatamente si rivela una sostenitrice della “operazione speciale”, al di là della sua laurea in Storia dell’arte e della sua profonda conoscenza del barocco romano.

Bloomberg / Getty Images

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Gianluca Vacchi, mai un raffreddore

di Stefano Ciavatta (esquire.com, 7 giugno 2022)

Ci siamo. È arrivata la fase da venerato maestro anche per Gianluca Vacchi, imprenditore bolognese, creator digitale, influencer da 40 milioni di follower, per molti solo “quello dei balletti” o semplicemente “un morto di fama”, da ultimo anche deejay al Tomorrowland e all’Amnesia di Ibiza, “celebrità su Internet” sintetizza Google. Con il documentario Mucho Mas prodotto da Nicola Giuliano, premio Oscar per La grande bellezza, Vacchi ha chiuso il cerchio del suo storytelling dorato. Ora è in orbita Prime Video come i Ferragnez e Sfera Ebbasta: that’s Italy. Tra gli animali sociali digitali Vacchi è il primo crack nel suo genere, vale a dire il filone del costume nazionale dei dispenser di leggerezza, gli stakanovisti della fabbrica di felicità e acqua calda. “Me ne vado a fare il guru” diceva Riccardo Pazzaglia.

Prime Video

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Home tour e altre sciocchezze: la società dei politici obbligati a usare trucchetti social per non sparire

di Guia Soncini (linkiesta.it, 10 giugno 2022)

Questa è la storia del presidente degli Stati Uniti d’America. Anzi, no: è la storia del presidente della regione Emilia-Romagna e del sindaco di Bologna. Anzi, no: è la storia d’un influencer qualunque. Ma, diranno i miei venticinque lettori, ci sta dunque dicendo che i tre politici elencati sono degli influencer qualunque? No, cioè sì (certo che lo sono, siamo tutti aspiranti influencer), ma voglio proprio raccontarvi la storia d’un influencer qualunque, di quelli pagati dalle aziende per dire quanto sono buoni i tali beveroni dietetici o i talaltri alberghi a sette stelle. Un giorno l’influencer è di malumore: le sue storie fanno poche visualizzazioni. Ha provato tutti i trucchi che in genere attirano pubblico. Il cane coccoloso. I luoghi di vacanza fotogenici. I monologhi dolenti su qualche dramma familiare, vero o immaginario, trauma infantile, vero o immaginario, problema di salute, vero o immaginario.

Creative Christians / Unsplash

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Sale l’asticella per accedere allo stardom

di Costantino della Gherardesca (ilfoglio.it, 14 maggio 2022)

Nel 2005, durante la settimana della moda milanese, c’era un nome sulla bocca di tutti: Serpica Naro, una stilista anglo-nipponica che per creare la sua prestigiosa linea di stivali aveva decimato gli esemplari di rana persico, anfibio la cui pelle squamosa sembra fatta apposta per essere immolata sull’altare dello shoe design. I consumatori di moda dell’hinterland si bevvero la bufala, mentre le più maliziose milanesi si accorsero del trucco: Serpica Naro e rana persico erano anagrammi di San Precario, un collettivo nato nel 2004 per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del precariato, un fenomeno che allora si considerava reversibile, forse perché l’Èra dell’Ingenuità (gli anni Novanta) non aveva ancora esaurito la sua energia. Ora, vi chiederete voi, per quale motivo mi tornano in mente queste vecchie storielle da nonno di Madison Avenue?

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The Queen: sette look per sette decadi di regno

di Ilaria Perrotta (vanityfair.it, 20 aprile 2022)

Prima di scrivere l’articolo, la domanda che ci/vi poniamo subito è: in settanta anni di regno quanti abiti avrà indossato la regina Elisabetta? Centinaia di migliaia, milioni forse? Davvero difficile, dunque, sceglierne sette, uno per decade di monarchia, rappresentativi della sua personale storia della moda e, in generale, di quella del costume che anche lei ha contribuito a scrivere in svariati decenni. Dato che, poi, questo 21 aprile Sua Maestà aggiunge un’altra candelina alla fila, lunghissima, di fiammelle sulla sua torta. Happy birthday to you Lilibet, 96 anni and simply the best in the world. Spesso unica donna in stanze piene di uomini, attraverso il suo regno ha visto arrivare e andarsene svariate tendenze. Tra i suoi più grandi successi c’è, sicuramente, l’aver costruito nel tempo uno stile iconico e libero da convenzioni modaiole.

theroyalfamily via Instagram

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