Tempi duri per la satira

di Beatrice Dondi (espresso.repubblica.it, 1° giugno 2020)

Federico II di Svevia fece diverse cose nella sua ostinazione legislativa. Tra cui quella di emettere una durissima norma contro i giullari, la Contra jogulatores obloquentes, che consentiva di prenderli a bastonate se attaccavano il potere. Perché da che mondo è mondo il potere è intoccabile, altissimo, irraggiungibile. E se il buffone di turno lo prende di mira, il risultato è una discesa irreversibile verso il basso, e più precipita più si spoglia, fino a che non finisce in pasto al popolo svelandosi all’improvviso per quello che è in realtà.Fratelli_di_CrozzaCe lo ha insegnato Dario Fo, che nell’aprile del 1977 entrò dalla seconda rete nelle case degli italiani con il suo Mistero buffo. In cui metteva in mutande il Potere con la p maiuscola in tutti i suoi rigagnoli. Ora (a parte il misterioso motivo per cui in questi mesi di repliche a nessuno sia venuto in mente di rimandare in onda il capolavoro da Nobel), questo insegnamento rimase scolpito come una zampata della tigre e nei decenni a seguire affacciarsi in tv per graffiare i burattinai del potere oltre la parodia è stata sempre un’arte gradita.

Ma qualcosa in tempi recenti è tristemente cambiato. Come si fa strappare il velo che avvolge il potente quando è già nudo di suo? Insomma, per amor di sintesi, il mestiere nelle mani del povero Maurizio Crozza è veramente uno sporco lavoro. L’attore ligure, che da anni ci diletta sul Nove (il venerdì), è tornato in questa nuova edizione di Fratelli di Crozza con un fardello difficile da trasportare. E non è quello dell’assenza di pubblico, anche se di certo non aiuta a scaldare lo spettacolo. Né tantomeno la mancanza di talento, che a Crozza non difetta. È proprio la materia prima. L’assunto di base per cui il politico preso di mira abbia qualcosa da disvelare, un livello da abbassare, un vero da mostrare.