Una notte a Mar-a-Lago

di Rita Lofano (agi.it, 25 gennaio 2021)

Tenera è la notte a Mar-a-Lago. Come cambia il mondo in tre ore di volo. La mattina al gelo di Washington D.C., piumino, cappello, guanti, lockdown, colonne di militari con il mitragliatore in spalla. Joe Biden ha giurato, ha firmato una raffica di ordini esecutivi. Poi il cambio di programma, chiama il direttore: “Preparati, andiamo in Florida”. Quando? “Adesso, ho un appuntamento stasera con Chris Ruddy, il proprietario di Newsmax, devi scrivere un pezzo su Mar-a-Lago”. Immaginate la scena: a Washington il termometro va sotto zero, a Miami arriva a 30 gradi, nella mia valigia ci sono solo maglioni e, se davvero andiamo a Mar-a-Lago… Cosa mi metto? Per fortuna, ho almeno un tacco alto elegante in valigia. Volo dal Dulles Airport a Miami strapieno. Se Washington D.C. è chiusa nel Sunshine State è alta stagione, tutto aperto. Da una parte il lockdown della Capitale e dall’altra la movida dello Stato di Ron DeSantis, il governatore repubblicano di origini italiane.

Ph. Joe Raedle / Getty Images via Afp
Ph. Joe Raedle / Getty Images via Afp

Atterriamo a Miami quando il Sole è altissimo, caldo, gente in spiaggia (e in acqua), ma nessuna possibilità di godersi questo paradiso, l’occasione è di quelle irripetibili (ho scritto per anni di Mar-a-Lago, ma vedendola solo in foto o in tv. Ora pare che abbia la possibilità di entrarvi, wow), dobbiamo prepararci per andare subito a Palm Beach, la destinazione è a due ore di distanza. Giusto il tempo per una doccia, otto chili di mascara, la prova dell’unico abito non da Yeti. Considerando il nostro interlocutore e la località (ci vanno a svernare i miliardari), mi aspetto che il direttore abbia affittato come minimo una “limo”. Lo raggiungo, in ritardo (di poco) e lo trovo davanti a un’improbabile Volkswagen rossa (scoprirò poi che è una Jetta fuori produzione) guidata da Javier. “Ma siamo sicuri che questa ci arriva a Palm Beach?”. Passiamo così da un Boeing 737 a un Uber. In fondo, stiamo solo andando a casa di Donald Trump.

In auto ripassiamo tutta la scaletta, le informazioni-chiave da ottenere. Ogni 5 minuti guardiamo l’orologio e le condizioni del traffico. In America un appuntamento alle 19:30 è un appuntamento alle 19:30 e non alle 19:45, non esistono il quarto d’ora accademico o la mezz’ora romana (se va bene), non ci si vede “intorno” ma all’ora esatta. Abbiamo una sola chance per arrivare puntuali: nulla deve andare storto. E in effetti va tutto benissimo, alle 19:23 siamo davanti al ristorante Lola 41 di Palm Beach. Almeno una cosa è fatta, siamo arrivati in orario e al posto giusto. L’intervista è per dopo cena, Mar-a-Lago è un’incognita sullo sfondo. Lola 41 a Palm Beach, all’angolo tra Sunset Avenue e Bradley Place, è un ristorante dell’upper class, stile informale e glamour, affollato da gente di tutte le età. I giovani sembrano star di Hollywood, quelli più attempati grandi capitani d’industria. Fiction. Durante la cena, attendiamo la conferma per il trasferimento a Mar-a-Lago. Arriva dopo due ore. Saliamo in macchina, si parte.

Entriamo dall’ingresso secondario, lo riconosco subito, fui gentilmente cacciata dal Secret Service già due anni fa, con Trump in carica. Stasera vediamo che succede. Riecco il Secret Service. Ci chiedono i documenti e non si accontentano di vederli, inseriscono i nostri dati per incrociarli con quelli del loro database. “Clearence”, possiamo passare. Da questo momento siamo dentro casa Trump, un club dove o sei socio o non sei. Dunque, entrano solo i soci. E i loro ospiti. Fino all’altro ieri, per quattro anni, è stata l’altra Casa Bianca, oggi è la residenza permanente di Trump. Lui è qui anche stasera, ha appena cenato nella terrazza, il suo tavolo è il primo a destra. Così, immagino, ha sempre sott’occhio tutti quelli che entrano ed escono. Il tavolo è piccolo, massimo per quattro persone. Ora l’ex presidente è nella sua dimora, le luci sono ancora accese. Parcheggiati davanti all’ingresso ci sono i Suburban neri della sicurezza. Non è possibile nemmeno mettere un mignolo sul prato, fermezza, ma grande gentilezza, l’ordine è quasi un sussurro.

Andiamo, facciamo un giro. Ma prima, un po’ di storia, perché Mar-a-Lago è un segno del destino, Trump ha realizzato senza volerlo il sogno dell’originaria proprietaria, l’ereditiera dei cereali Marjorie Merriweather Post. Costruita nel 1927, Mar-a-Lago, con 128 stanze, disegnata dagli architetti Marion Sims Wyeth e Joseph Urban, fu donata nel 1973 da Marjorie, una delle donne più ricche d’America, al governo che l’avrebbe dovuta destinare all’uso di “Casa Bianca invernale”. Nel 1980 la villa diventa monumento nazionale, ma nel 1981 il governo la restituisce alla fondazione dell’ereditiera a causa degli elevati costi di manutenzione. Trump resta affascinato dalla bellezza del luogo e fiuta l’affare. Compra Mar-a-Lago nel 1985 a un prezzo irrisorio rispetto all’attuale valore. Dieci anni dopo, lo trasforma in un club privato e la residenza, già sontuosa, si trumpizza. Come? Proseguiamo il nostro tour.

Cominciamo dalla sala da ballo originaria, a destra della piscina, tutta stucchi bianchi e dorati, parquet che scricchiola e profuma di storia. Seppur molto bella, Trump deve averla giudicata eccessivamente raccolta. Quindi ne ha fatto costruire un’altra, enorme. Per vederla, basta spostarsi di qualche metro. Ci siamo, è sempre bianca e dorata, immensa, provate a immaginare duemila metri quadrati di marmo bianco, sembra di sentire la musica dei party sui quali molto si è scritto (confesso: dopo aver seguito tanti Maga rally, l’ho immaginato qui, camicia bianca senza cravatta, senza giacca, qualche chilo di meno, scatenato sulle note di YMCA a fare lo splendido con tutte le invitate). Quello che colpisce all’ingresso è lo stemma con i leoni, dorato, un antico fregio che Trump ha fatto suo sostituendo alla base la parola “integritas” con il suo cognome. È un grande salone per le feste per il quale sembra siano stati spesi sette milioni di dollari solo per la decorazione delle foglioline, anche queste dorate. Oro. Come nella penthouse di Trump a New York, è il colore dominante a Mar-a-Lago.

L’altro elemento di cui s’avverte la presenza all’ingresso principale è un tocco d’Oriente, infatti il primo personaggio che mi è venuto in mente, ospitato da Trump a Mar-a-Lago, è Xi Jinping, il presidente cinese che fu ricevuto proprio qui, dove ora mi trovo. Riconosco anche il divano dove sono state scattate le foto di rito della visita. Entro nella sala da pranzo con il camino al centro (il posto preferito da Trump durante i ricevimenti ufficiali), attraverso la sala di lettura che ha tutto un altro stile, Old England, legno scuro, lucido, boiserie, una collezione di libri pregiati e poi… un volto conosciuto, un ritratto: The Donald dipinto in versione sportiva, con un maglione bianco a V, sembra un giocatore di tennis dei primi del Novecento. Il salone è il tripudio dell’immaginario trumpista: divani, stucchi, lampade e al centro della sala un gigantesco vaso di fiori che cambia ogni giorno. Sulla veranda c’è il bar, scorgiamo qualche volto noto. L’ora di cena è passata, l’atmosfera è più informale, restano solo gli ospiti che si fermeranno a dormire e i tiratardi come noi che non mancano mai. Tenera è la notte a Mar-a-Lago.