Tra fiction e realtà. Guardi Reagan e pensi a Trump

di Antonio Dipollina («Il Venerdì di Repubblica», 13 gennaio 2017)

Il mondo che va in un’altra direzione, all’improvviso, perché John Hinckley, un giovane psicopatico ossessionato da Jodie Foster, spara a Ronald Reagan per fare colpo sull’attrice. La tesi è un po’ all’ingrosso ma è passata parecchio nell’immaginario ed è soprattutto alla base di Killing Reagan, ovvero il docu-film (ma la definizione è labile) in onda su National Geographic Channel martedì alle 20:55.KILLING REAGANLa parte fiction è totale, con gli attori tutti al posto giusto: il giovane Kyle S. More sembra nato per interpretare il giovane folle e sfigatissimo. Così come Reagan è interpretato da Tim Matheson – già visto in West Wing – e soprattutto la moglie Nancy, con un ruolo decisivo e accresciuto dopo l’attentato, è Cynthia Nixon, ovvero Miranda in Sex and The City. Tutto al posto giusto, appunto, mentre passano anche autentiche immagini di repertorio, dalla campagna elettorale 1980 fino all’attentato dell’anno successivo, il 30 marzo. Per dire, Jimmy Carter, avversario demolito dall’astro nascente e inatteso Reagan (ricorda qualcosa?) è il vero Carter nelle immagini della campagna medesima: mentre le dinamiche interne alla Casa Bianca e al gruppo ristretto di collaboratori del Presidente vengono ricostruite con una certa fedeltà ai temi in campo, con il mondo là fuori che viaggia tra il dileggio per l’attore di Hollywood giunto incredibilmente allo Studio Ovale e la paura per il futuro del pianeta (e ancora, ricorda qualcosa?). Ma Killing Reagan è soprattutto la storia dell’ossessione psicopatica del giovane Hinckley, con genitori inerti e inermi che in qualche modo afferrano il problema ma lo demandano a terapisti sbagliati, mentre lui, John, si fa irretire dall’attentato a John Lennon («Se faccio anch’io una cosa simile, Jodie Foster si accorgerà di me») e vive in un incubo fatto di armi da fuoco e foto della sua attrice preferita a tappezzare i muri della cameretta. Una storia di inquietudine forte che diventa l’ibrido fiction-realtà in questione: alla fine, tutto sommato, un progetto ovvio che va a buon fine e raggiunge lo scopo di partenza.