Africa, Geldof ancora in prima fila: “Per salvare il continente ci vuole un Piano Marshall”

Parla il promotore del Live Aid 85: “Un futuro è possibile se si investe in infrastrutture”

di Enrico Franceschini («la Repubblica», 26 maggio 2017)

“L’Africa è cambiata, ma ci vorrebbe un Piano Marshall per farla cambiare del tutto”. Bob Geldof ha dedicato metà della sua vita all’impresa: il 65enne cantante irlandese è stato il promotore di Live Aid nel 1985, primo di una serie di grandi concerti di beneficenza, e da allora gli aiuti al continente nero sono diventati la sua principale occupazione, che si tratti di proporre un’iniziativa al G7, lanciare campagne di investimenti o intervenire sulla tragedia dei migranti.LIVE-AID-1985Bob, cosa è cambiato dalla canzone We are the world, da quel primo concerto per l’Africa di 32 anni fa?

“È cambiata l’Africa. È diventata un continente più stabile e democratico. C’è più lavoro. Ci sono più strade e più comunicazioni grazie ai telefonini. È emersa una classe media. Si è affacciata all’Africa la rivoluzione digitale. E la speranza di un futuro migliore. Ma restano enormi problemi”.

Cominciamo dal primo.

“La fame non è più il problema universalmente diffuso nel continente africano che esisteva un tempo. Ma persiste in alcune regioni. E la carenza di acqua e cibo è una minaccia costante per molte nazioni”.

Cosa si dovrebbe fare?

“Il 65 per cento delle terre arabili del mondo, dunque più di metà delle terre coltivabili sul nostro pianeta, sono in Africa. L’Africa dovrebbe essere il granaio del mondo, dovrebbe sfamare il mondo: invece non riesce neanche a sfamare adeguatamente sé stessa”.

Perché?

“Mancano le infrastrutture. Per citarne una, non ci sono abbastanza strade, strade moderne, percorribili rapidamente dai mezzi di trasporto commerciali e industriali. La Cina ne ha costruite e ne sta costruendo molte, ma sono insufficienti”.

Quali sono i progressi più importanti?

“Il fatto che due grandi Paesi nel cuore del continente, Kenya ed Etiopia, abbiano oggi una stabilità che non avevano trent’anni or sono. Questo rappresenta un passo avanti cruciale, un modello positivo per tutti gli altri. Ma creare uno Stato che funziona richiede tempo. E la stabilità, naturalmente, non è la stessa cosa di una piena democrazia”.

Quanto peso hanno i telefonini?

“Enorme. Secondo le ultime statistiche, ora in Africa ce ne sono più di 1 miliardo. Non tutti smartphone, i telefoni connessi a Internet sono la minoranza. Ma anche un semplice telefonino da pochi soldi trasforma la vita di una famiglia o di un piccolo business”.

La rivoluzione digitale sbarca in Africa.

“Sì, ma è soltanto l’inizio dello sbarco. La connessione al web manca ancora nella maggior parte delle zone rurali. Eppure quel poco di connettività che c’è oggi in Africa fa già capire come il web sia la più importante invenzione nella storia dell’umanità, almeno quanto quella di Gutenberg dei caratteri a stampa”.

Che cosa si aspetta per l’Africa dal G7 di Taormina?

“Nulla. Sono stufo delle chiacchiere del G7. Tante promesse non mantenute. Non ci casco più”.

Niente che la soddisfi nelle iniziative del mondo ricco?

“La Gran Bretagna è l’unico paese del G7 che ha mantenuto l’impegno di dare all’Africa lo 0,7 per cento del proprio Pil, 13 miliardi di sterline l’anno. Sono un aiuto notevole, eppure è una goccia del necessario”.

Cosa servirebbe?

“Lo sanno tutti: un Piano Marshall per l’Africa. Il G7 dovrebbe fare per l’Africa quello che l’America fece per l’Europa dopo la seconda guerra mondiale. E l’America non lanciò il Piano Marshall per pura generosità: diede agli europei gli aiuti necessari a rimettersi in piedi e poter acquistare i prodotti americani. L’Africa è a poche miglia dalle coste dell’Europa, ma è come se l’Europa fosse incapace di vedere l’immenso mercato di consumatori che potrebbe avere alle sue porte”.

La Cina è lontana ma lo vede.

“La Cina investe in Africa, si compra pezzi di Africa, in cerca di materie prima e di influenza politica. Ma io sono favorevole a quello che sta facendo la Cina. Dico che all’Africa fa bene. E che l’Occidente dovrebbe fare altrettanto, cooperando con il governo di Pechino”.

Come fermare la crisi dei migranti nel Mediterraneo?

“Sono stato a Lampedusa già tredici anni fa e predissi al sindaco dell’isola quello che sta succedendo ora. L’unico modo per mettere fine agli sbarchi dei migranti è fare scomparire la povertà in Africa. Non ci sono altri metodi. La povertà, del resto, è la ragione di tutti i problemi che abbiamo oggi: dal terrorismo al fanatismo islamico al populismo. È la radice di tutti i mali. Speriamo che il 21esimo secolo passi alla storia come il secolo in cui il mondo ha compreso il problema e ha cominciato a estirparlo”.