Dal piumino alla benda, gli accessori della rabbia di Grillo

A scegliersi gli accessori della protesta, è sempre stato il migliore. Lo si è visto in Piazza del Pantheon, dove è stato immortalato con Di Maio e Di Battista. Dal canotto al piumino hi-tech, dal casco integrale alle… cozze, gli oggetti usati dal comico per fare politica

di Francesco Oggiano (vanityfair.it, 26 ottobre 2017)

A scegliersi gli accessori della protesta, è sempre stato il migliore. A volte se li è portati da casa, a volte ha raccolto quelli che aveva sotto gli occhi. Il risultato, però, lo ha sempre ottenuto: un’istantanea della sua indignazione su tutte le homepage dei siti Internet. A oscurare tutto il resto.grillo_canottoPoco importano i contenuti della protesta e le diatribe giuridiche attorno al tema del contendere. Quello che resterà della giornata di mercoledì, per esempio, è la trinità bendata di bianco. Di Battista, Di Maio e Beppe Grillo sul palco della protesta grillina a Piazza del Pantheon, con una fascia immacolata stretta attorno agli occhi. Là, a pochi metri dal palazzo in cui Renzi e Verdini votavano la legge elettorale, Grillo e i suoi denunciavano il mezzo usato dal potere per rendere «ciechi gli elettori», impossibilitati a scegliersi i candidati. E a quella folla cieca si offre lui, il pastore. Lui che indica la strada, lui che indica il nemico. Anzi, che lo proietta. Alle sue spalle, sul maxischermo ben gestito da una regia sufficientemente maliziosa, vengono sparati a sedici noni i volti di Grasso, Mattarella, Napolitano, Gasparri, Boschi. Buu. Folla soddisfatta, prima pagina assicurata. Che avesse il senso dello spettacolo per l’accessorio della protesta lo si doveva capire fin dalle prime manifestazioni oceaniche, prodromo di quello che sarà il Movimento 5 Stelle. Quando, dopo il primo V-Day del 2007, si presentò sotto il Senato alla guida di un risciò circondato da una trentina di fedelissimi. E scese tenendo in mano uno scatolone con le firme della proposta di legge Parlamento Pulito da consegnare all’allora presidente Franco Marini: «Un funzionario del Senato mi ha protocollato con il numero 1936. Aveva della «sabbia nelle tasche», dirà, geniale, anticipando l’immagine degli impiegati della Lehman Brothers con gli scatoloni in mano fuori dalla banca. Quattro anni dopo ci tornerà, lì davanti, per ricordare al Parlamento le firme raccolte e dimenticate. E questa volta arriverà con un sacco pieno di cozze in spalla, da deporre davanti la porta di accesso della Camera dei Deputati. «Le monetine per questi sono un onore, un privilegio che non meritano. Meglio delle cozze sgusciate, prive del mollusco, con scritto il nome del parlamentare. Hanno un valore simbolico, sono un segno dei tempi». Nel 2010, al comizio di chiusura per le elezioni a Bologna, come segno dei tempi sceglie il canotto, per farsi trasportare dalla folla di Piazza Maggiore. È una celebrazione da rockstar, uno stage diving col salvagente: «Immaginate se un politico facesse questa cosa», ironizza, «gli bucherebbero il canotto». Resta in tema marittimo, lui, grande nuotatore, nel 2013, quando sceglie occhialini, pinne e muta. Prima delle elezioni siciliane capisce che gli isolani, furbissimi, se non toccano non ci credono. E pretendono rispetto. Specie se sei uno «di quelli nuovi», che stavi «alla televisione» e che per anni li hai snobbati. E così si infila le pinne e compie il suo atto di penitenza nuotando per tre chilometri verso il popolo scordato, attraversando lo Stretto di Messina a nuoto. Poi si prostra davanti alla spiaggia ergendosi da questuante a principe. Uno a uno, palla al centro. Qualche mese dopo, davanti ai risultati eccezionali e inaspettati delle elezioni politiche, cambia di nuovo. Capisce che è arrivato il momento di coprirsi, di abbassare la temperatura. Sulla spiaggia di Bibbona, dove si era rifugiato per scampare all’attenzione mediatica, si fa inseguire dai giornalisti coprendosi integralmente con un piumino hi-tech ultraleggero: una giacca con cappuccio ergonomico a chiusura totale dotato di lenti applicate e intercambiabili, specchiate o trasparenti. La foto fa il giro del mondo. Il piumino (316 euro) va a ruba. Quegli occhi che copriva parzialmente con gli occhiali da Sole personalizzati col suo nome sulla stanga (una delle poche debolezze fashion), devono nascondersi, ogni tanto. E così, nei mesi scorsi, quando viene assediato all’Hotel Forum di Roma, cala dalla finestra della stanza una corda fatta di lenzuola. Il carcerato che tenta l’evasione. Il politico attaccato dai cronisti. Sempre da una stanza dell’albergo, recupererà l’accessorio della vittoria. Quando a Torino vince la sua Chiara Appendino, davanti a centinaia di cronisti appostati sotto l’hotel in attesa di una sua dichiarazione, lui tira fuori dalla finestra l’oggetto più appropriato: un appendino. Semplice e chiaro. L’accessorio fortifica la protesta, e a volte il disinteresse. Così, a giugno, alla vigilia di elezioni previste come perdenti per il Movimento, Grillo si presenta al seggio per votare col casco ancora in testa. «Sono di fretta, ho la moto parcheggiata fuori, due minuti e me ne vado, non tolgo neanche il casco, quest’operazione non è importante per me», sembra dire. Tratta quel momento come l’acquisto di una baguette in panetteria, come un pieno di benzina fatto al self-service. Vuole comunicare precarietà e disimpegno. E ci riesce senza dire una parola. Se andate in strada a chiedere cos’abbia detto mercoledì Beppe Grillo, alla manifestazione al Pantheon contro il Rosatellum, pochi sapranno citarvi una sua parola. Tutti, però, vi racconteranno quell’immagine. Lui, bendato, davanti alla folla. Per uno che si fa cieco, sa scegliersi benissimo gli accessori.

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