È giusto che Fiorella Mannoia parli di terrorismo e politica?

di Paolo Romano (huffingtonpost.it, 18 novembre 2015)

Una vita a cantare “quello che le donne non dicono” e poi dirle tutte insieme, con una voracità bulimica. Fiorella Mannoia, già da tempo, dice la sua su tutto, parla di tutto, da ultimo a una radio universitaria dove ha spaziato dal terrorismo al Pd, dai Cinquestelle a Oriana Fallaci. E perché fa notizia? Perché è una cantante ed è famosa; cosa invece le sue parole c’entrino col suo mestiere è più difficile da capire. Si dice: ma esprime il suo pensiero da libera cittadina; giusto, ma non ai vari milioni di residenti in Italia è dato lo stesso spazio, a occhio e croce, sui giornali. E allora torna il tema della responsabilità. È giusto usare la propria notorietà per straparlare di temi ad essa estranei? Perché poi, a esondare, si finisce per dire o delle castronerie o delle banalità. Perché, ad esempio, si può finire per dire che il Papa ha “indetto” un Giubileo per far fuori Marino, con crasi inevitabilmente liminare al comico. O dire di Oriana Fallaci che “non è che siccome una sia stata una grande giornalista e una grande scrittrice avesse capito tutto”; e ci mancherebbe, ma almeno faceva il suo mestiere e le questioni le aveva studiate per benino, anche sul campo (al di là delle conclusioni che possono o meno piacere). Che avrebbe detto Fiorella Mannoia se la Fallaci avesse parlato delle avvilenti carenze delle melodie e degli arrangiamenti del pop italiano? Fatto sta che, per la cantante romana, la colpa degli attentati di Parigi è tutta dell’Occidente. E va bene, parliamone, se ne sta parlando, se ne parla da anni, però l’arringa da tribuno di piazza (l’espressa simpatia per Grillo fa scopa in questo senso) non fa altro, inevitabilmente, che produrre altro rumore di fondo sulla questione più complicata che il mondo libero affronta dal secondo dopoguerra. E produrre rumore, per chi fa musica, non è un granché, soprattutto se il diritto di parlare pubblicamente viene da una rendita di posizione conquistata altrove. C’è un rimedio, magari banale, allo sproloquismo di risulta, tuttavia. Ed è dettato dalle regole della democrazia: chi ha idee per cambiare, chi ha la forza e il consenso sufficiente per “fare”, lo faccia; facendo attivamente politica, candidandosi, entrando in un partito, facendone uno proprio. Anche cambiando mestiere, se serve.