La lista dei cantanti anti-Trump? Sempre più lunga e agguerrita

di Giusi Fasano («7», suppl. al Corriere della Sera», 8 novembre 2018)

La diffida è arrivata pochi giorni fa all’ufficio legale della Casa Bianca. Mittente: l’avvocato del cantante americano Pharrell Williams. Che se la prende direttamente con Donald Trump. «Il giorno dell’omicidio di 11 persone per mano di un “nazionalista” folle», scrive, «il Presidente ha usato la canzone Happy (Felice) in un evento politico in Indiana. Non c’era nulla di “felice” nella tragedia inflitta al nostro Paese e nessuna autorizzazione era stata concessa per l’uso di questa canzone per questo scopo».pharrell-vs-trumpQuindi, caro Presidente, ci faccia il santo piacere di non usarla mai più in pubblico senza permesso: questa, in sostanza, la richiesta. Non è nota la reazione di Trump ma certo deve aver pensato che musicisti e cantanti non sono nell’elenco dei suoi grandi amici. Perché è già andata storta in diverse occasioni e c’è da scommettere che anche stavolta non sarà l’ultima. Se l’erano legata al dito – per dire – i Rolling Stones, i Queen, O’Jays, Neil Young, Everlast, Adele, i R.E.M., gli Aerosmith: tutti a non gradire di essere la colonna sonora della campagna elettorale del tycoon e a contestare, o addirittura minacciare, denunce.

Del resto che cosa meglio della musica può trasmettere alle masse un messaggio, un’emozione? Il magnate dal ciuffo biondo inconfondibile lo sa bene. Per questo è salito sui suoi palchi con sottofondi musicali come Rockin’ in the free world (facendo infuriare il mite Neil Young), con accompagnamenti come It’s the end of the world (irritando non poco i R.E.M), con stacchetti scippati a Dream on (facendo arrabbiare gli Aereosmith)… Non che Trump sia il primo a intrecciare relazioni pericolose tra musica e politica. Lo fece prima di lui Ronald Reagan, per esempio. Bruce Springsteen non gli ha mai perdonato il fatto che abbia usato in una delle sue campagne la famosa Born in the Usa. Anche il repubblicanissimo Paul Ryan incappò nelle ire di un cantante: Dee Snider, dei Twisted Sister. Perché (si racconta in un vecchio articolo di Rockol) si era permesso di invitare i suoi elettori a non «bersi più le bugie» dell’amministrazione Obama sulle note di We’re not gonna take. Snider lo smentì con un commento secco: «Non c’è nulla che dica o faccia che mi trovi d’accordo». Sempre Ryan (ricorda lo stesso articolo) inserì nella playlist di una sua campagna antiaborto e contro i matrimoni omosessuali Guerrilla radio dei Rage Against the Machine. In quel caso fu il chitarrista della band Tom Morello a fargli sapere di essere stupito di averlo fra i suoi fan, «perché lui è l’impersonificazione di quella macchina nei confronti della quale la nostra musica esprime rabbia da vent’anni».

Una nota stonata l’ha suonata anche Sarah Palin, ormai ex speranza dell’ala più conservatrice del partito repubblicano. Quando decise di giocare la sua chance per la Casa Bianca usò fra gli altri anche Barracuda, brano delle Heart. Ann Wilson se la prese parecchio e scrisse per lei il seguente messaggio: «Non autorizzeremo mai l’utilizzo di una nostra canzone per una campagna del partito repubblicano: c’è dell’ironia nel modo in cui i loro strateghi scelgono la loro colonna sonora…». Ecco.

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