L’America da brividi dell’aviatore Charles Lindbergh

di Enrico Deaglio (Annali – «Il Venerdì di Repubblica», 10 febbraio 2017)

«America First!», ha esclamato con forza il 45esimo presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump nel giorno del suo insediamento. Trump ha scelto quello slogan per dimostrare vicinanza a un potente movimento politico che si sviluppò negli Usa tra il 1940 e il 1941. Due i suoi obiettivi: limitare l’immigrazione degli ebrei dall’Europa e non intervenire nella guerra contro Hitler a sostegno dell’Inghilterra.AMERICA_FIRST“America First” raccolse 800mila tessere paganti ed ebbe appoggi tra i maggiori industriali, così come tra gli studenti universitari e i sindacati. Il suo portavoce era Charles Lindbergh, il principale eroe americano del tempo. A 23 anni, nel 1925, aveva trasvolato l’Atlantico in solitaria in 33 ore e mezzo guadagnandosi fama imperitura. Nel 1932 il suo bambino era stato rapito e ucciso, fu il “crimine del secolo”, ragion per cui si era ritirato in esilio volontario in Europa. Il nazismo lo aveva accolto e molto coccolato. Tornato in America, Lindbergh aveva tessuto le lodi di Hitler, della sua società ordinata e soprattutto della sua grande aviazione, che aveva avuto modo di ispezionare. Quindi previde che, in caso di conflitto europeo, l’America avrebbe perso e avrebbe pagato un altissimo tributo di morti. Il suo movimento attaccava, come guerrafondai, non Hitler, ma il presidente Roosevelt e gli ebrei americani. A proposito dei quali, Lindbergh si espresse così davanti a una folla di sostenitori l’11 settembre 1941 (il momento di massima vittoria militare nazista): «Non è difficile capire perché gli ebrei vogliano scalzare la Germania nazista. La persecuzione che hanno sofferto in Germania è sufficiente perché i tedeschi vengano considerati nemici. Nessuno che abbia dignità umana può condonare la persecuzione che la razza ebraica ha subìto in Germania. Ma nessuna persona onesta e lungimirante può analizzare la loro posizione politica – qui e ora – a favore della guerra, senza vedere i pericoli insiti in questa politica, sia per noi che per loro. Invece di agitarsi per la guerra, i gruppi ebrei in questo Paese dovrebbero opporvisi in ogni modo possibile, perché saranno loro i primi a pagarne le conseguenze. La tolleranza è una virtù che riposa su pace e forza. La storia dimostra che essa non sopravvive alla guerra e alla devastazione. Pochi ebrei lungimiranti lo capiscono e si oppongono all’intervento, ma la maggioranza ancora non lo fa. Il più grande pericolo per questo Paese sta nel fatto che gli ebrei posseggono e hanno influenza nel cinema, nei giornali, nella radio e nel nostro governo». “America First” si sciolse alla notizia dell’attacco giapponese di Pearl Harbor, con la conseguente dichiarazione di guerra di Hitler all’America. La decisione della “soluzione finale della questione ebraica” fu presa da Hitler tra il 1940 e il 1941, ma non si è mai saputo se Lindbergh – che l’aveva prevista nel suo discorso – ne fosse a conoscenza. Se il linguaggio di “America First” del 1941 vi ha dato i brividi, questo era l’effetto che il curatore di questi Annali si proponeva.

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