L’eco della Guerra fredda nella carriera di Elia Kazan

di Sergio Romano («Corriere della Sera», 14 novembre 2014)

Le rivelazioni di Kazan al Comitato per le attività «non americane» avrebbero destato meno scalpore se il regista teatrale e cinematografico non fosse già allora, nel 1952, una delle personalità più geniali e ammirate nel mondo dello spettacolo americano. Quando nacque a Costantinopoli, nel settembre del 1909 in una famiglia di origine greca, il suo nome era Kazanjoglous. Divenne Kazan nel 1913 quando la famiglia si trasferì a New York e decise di accorciare il cognome per meglio integrarsi nella società americana. Il padre commerciava in tappeti e il figlio si dimostrò subito un brillante studente. Si diplomò in un college del Massachusetts, studiò alla scuola di teatro dell’Università di Yale e divenne membro del «Group Theatre», un atelier teatrale che metteva in scena spettacoli sperimentali e aveva lanciato «il metodo», un sistema di recitazione ispirato dagli insegnamenti di un grande regista russo, Kostantin Stanislasvkij, che aveva fondato il Teatro d’arte di Mosca. Dalla recitazione alla regia, il passo fu relativamente breve. Alternando teatro e cinema, Kazan lavorò con i maggiori drammaturghi americani di quegli anni, da Clifford Odets a Thornton Wilder, da Tennessee Williams ad Arthur Miller, e contribuì alla formazione di attori, come Marlon Brando, che lo avrebbero accompagnato nella sua carriera, da Broadway a Hollywood. I temi a lui più congeniali erano quelli sociali che maggiormente interessavano l’intellighenzia liberal degli anni Trenta, soprattutto dopo l’avvento di Franklin D. Roosevelt e lo stabilimento dei rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica. In quel clima Kazan s’iscrisse al Partito comunista americano e fu per 18 mesi, sino al 1936, membro della cellula che si era costituita nell’ambito del «Group Theater». Quando fu convocato dal Comitato per le attività non americane, lo ammise, ma dopo una prima esitazione fece i nomi dei compagni (8 secondo alcuni, 11 secondo altri) che avevano fatto parte della stessa cellula. La «delazione» non impedì a Kazan di fare negli anni seguenti una brillante carriera nel mondo dello spettacolo e della letteratura (fu anche autore di romanzi). Ma divenne il tema ricorrente e ossessivo della sua vita. Anche quando l’episodio sembrava universalmente dimenticato, Kazan tornava continuamente a quegli anni, ora per giustificare il suo gesto come destinato a contrastare «una congiura organizzata su scala mondiale», ora per interrogarsi sulla correttezza morale di ciò che aveva fatto. Il caso scoppiò ancora una volta nel 1999, quando un regista e un attore di origine italiana (Martin Scorsese e Robert De Niro) lanciarono una campagna perché al novantenne Kazan venisse assegnato un Oscar alla carriera. Scorsese, in particolare, lo considerava un grande esponente americano del neorealismo italiano. Quando il premio fu conferito e la maggior parte del pubblico si alzò in piedi, altri rimasero seduti con le braccia incrociate. La Guerra fredda, nella loro memoria, non era ancora finita. Kazan morì quattro anni dopo.

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