Morta Letizia Battaglia, viva Letizia Battaglia

di Germano D’Acquisto (esquire.com, 14 aprile 2022)

Gesualdo Bufalino per descrivere la Sicilia (e i siciliani) parlava di luce e lutto. Di lampo radioso e tenebre profonda. E Letizia Battaglia, vero paradigma in carne ed ossa della Sicilia, incarnava l’assunto dello scrittore alla perfezione. Lei era proprio così. Luminosa e cupa, sfolgorante e malinconica, rosa e pallida. Nessuno meglio di lei ha raccontato l’isola degli ultimi 50 anni. Quella più dura, violenta e ribelle. Non solo donne in nero, ma donne in nero immerse nel dolore e nella dignità, nella violenza e nell’incanto. Diceva che per la Sicilia non c’era speranza eppure non riusciva a staccarsene, come il mollusco attaccato alla propria conchiglia. Era arrabbiata, delusa, eppure non smetteva mai di cercare fra i vicoli fatiscenti della Cala di Palermo figure femminili da ritrarre perché in loro ritrovava l’amore per la redenzione.

Ph. Giulio Napolitano / Getty Images

Soprattutto bambine. «Da piccola ho incontrato un orco, da allora sono ossessionata da loro», aveva raccontato in una recente videointervista. Il ritratto della bimba col pallone ha fatto il giro del mondo, diventando una delle immagini simbolo della sua terra lontana dall’iconografia da cartolina. «La mia vita è stata una lotta senza saperlo». Questa lotta si è fermata ieri sera, a 87 anni, ma proseguirà (e probabilmente sarà vinta) grazie alle sue immagini bianco e nero. Dove il bianco, pochissimo, è candido; mentre il nero, abbondante e sovrastante, sembra quasi pece, ed ha lo stesso colore dell’asfalto contorto e sporco di certe strade del quartiere difficile di Brancaccio. Letizia Battaglia è diventata famosa come fotoreporter di mafia, riuscendo a ritrarre con la sua fotocamera cadaveri in posizioni innaturali abbandonati per strada come sacchi di patate, il dolore inconsolabile e teatrale dei parenti, le smorfie dei boss in manette.

La sua è una storia apparentemente semplice. Inizia a scattare nel 1969 collaborando con il giornale palermitano L’Ora, leggenda dell’editoria italiana che ha avuto fra le sue firme figure come Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Cosimo Cristina, tutti uccisi da Cosa Nostra, ma anche Giovanni Verga e Salvatore Quasimodo. «La mia prima foto fu fatta a una prostituta palermitana. Una donna bellissima, per niente sfregiata dalla vita che faceva. Ma a sfregiarla fu altro. Era stata coinvolta nell’omicidio di un’altra prostituta». Letizia si trasferisce a Milano, ci resta fino al 1974 e poi torna a casa per aprire con Franco Zecchin l’agenzia Informazione Fotografica, punto di riferimento frequentato da grandi fotografi come Josef Koudelka e Ferdinando Scianna.

Sono anni terribili per Palermo. La mafia miete vittime e lei gira la città raccontando gli eccidi. Lo fa con un fine sociale: mostra l’orrore per scuotere gli animi e comunicare alle coscienze il livello dello scempio. È suo lo scatto più famoso dell’omicidio di Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Siciliana, avvenuto nel 1980, dove si vede Sergio, futuro presidente della Repubblica, soccorrere il fratello morente. Sua è l’immagine del giudice Cesare Terranova trucidato all’interno della sua auto. Sue anche le istantanee all’Hotel Zagarella che mostrano gli esattori mafiosi Salvo insieme a Giulio Andreotti, poi acquisite agli atti per il processo al leader della Democrazia Cristiana. Alla fine li fotograferà tutti: magistrati, agenti e uomini dello Stato: da Boris Giuliano a Ninni Cassarà, fino a Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. E poi criminali come Luciano Liggio e Leoluca Bagarella, che, durante l’arresto, la travolgerà buttandola a terra.

Nel 1985 è la prima donna europea a ricevere, ex aequo con l’americana Donna Ferrato, il Premio Eugene Smith. Continua così fino al 1992, l’anno degli omicidi di Falcone e Borsellino. Poi, esausta, decide di fare altro. Troppa violenza, troppo sangue. Il suo testamento fotografico è il ritratto di Rosaria Schifani, vedova di Vito, agente ucciso nella strage di Capaci. Il volto della donna illuminato a metà – un lato nell’ombra, l’altro nella luce – è un compendio della sua poetica. Negli anni successivi si occupa di divulgazione, testimonia la sua esperienza in giro per il mondo, nelle scuole e nelle università. Nel 2017 inaugura ai Cantieri Culturali della Zisa il “Centro Internazionale di Fotografia di Palermo”, un archivio storico che raccoglie i lavori di oltre 150 fotografi, professionisti e amatori, che desiderano rivelare al pubblico la loro personalissima visione della città.

Non smette mai di viaggiare. Infinite le sue frasi simbolo. Quelle capaci di riassumere in poche parole l’essenza di tutta una vita. «Non voglio essere solo una fotografa ma una donna che fa cose». «La fotografia è stata la mia salvezza. Ero una donna inquieta e attraverso la mia macchina fotografica ho trovato equilibrio». Oppure: «Reportage può significare tante cose, per ognuno cose diverse. Per me significa andare al cuore delle cose, di un luogo, di una città, di un gruppo di persone, cioè scavare con l’immagine». O ancora: «È il mio mondo che accoglie e fissa altri mondi». Una delle sue frasi più intense è però dedicata alla sua amatissima città: «Palermo è un po’ magica, un poco caduta, un poco solenne. Palermo è vita e morte». Ancora una volta luce e lutto. E non poteva che essere così.