Berlusconi sogna il Colle come Oscar alla carriera

di Sofia Ventura (huffingtonpost.it, 12 gennaio 2022)

Vi è qualcosa di tragico nella mossa di Silvio Berlusconi per impedire l’ascesa di Mario Draghi al Quirinale, nelle parole che ha lasciato trapelare poco prima della conferenza stampa di lunedì sera del capo del governo. Parole con le quali ha voluto avvertire che senza Draghi Forza Italia non si sentirebbe più impegnata a far parte della maggioranza e, anzi, si sfilerebbe. La tragedia è in un uomo che si vede solo con i suoi occhi e il cui sguardo non riesce ad andare oltre gli specchi ingannatori che gli porgono coloro che lo circondano. E per questo ritiene la propria candidatura giusta e opportuna.

Ph. Valerio Pennicino / Getty Images

Perché, naturalmente, la minaccia di elezioni – e del conseguente, immediato e mesto ritorno a casa di tanti parlamentari –, se Draghi dovesse trasferirsi al Colle, non ha a che fare con il politicamente sensato timore che l’allegra brigata che oggi sostiene il governo, un istante dopo la sua partenza, diverrebbe del tutto ingestibile. No, ha a che fare con il desiderio di Berlusconi di ricevere questo Oscar alla carriera. Berlusconi Presidente. Perché lo merita. Ad onta dei dileggiatori, degli infamatori, di chi gli nega quell’aura di statista che ritiene invece di possedere. Indro Montanelli di lui aveva detto che ha una concezione della verità tutta sua. Come accade a chi interpreta il mondo circostante attraverso l’esclusiva lente del sé. Dunque possiede una verità particolare anche sulla propria persona. Una verità che, come si diceva, vede riflessa negli sguardi e nelle parole degli adulatori, servitori, profittatori che dall’inizio della sua avventura politica, avvicendandosi, lo hanno circondato. E non è incrinata dalle critiche che riceve, poiché, come aveva illustrato Alessandro Amadori in un bel libro del 2004 sulla figura dell’allora Presidente del Consiglio (Mi consenta), in lui funziona alla perfezione il meccanismo della proiezione, mediante il quale gli elementi negativi sono neutralizzati proiettandoli all’esterno sugli avversari, che in fondo, come è noto, continuano ad essere degli impenitenti comunisti.

Così, quegli aspetti della sua biografia che non è necessario essere mai stati arruolati nell’antiberlusconismo militante per reputare altamente inadeguati per chi dovrebbe calarsi nel ruolo di rappresentante della nazione, ai suoi occhi trasfigurano, diventano altro o scompaiono. Consentendogli di considerarsi il naturale candidato al Quirinale. Che poi ciò avvenga con la caccia spietata e disperata ai voti necessari per la sua elezione non deve turbarlo e condurlo a dubbi, poiché, se a ciò è costretto, se per realizzare ciò che è giusto deve ricorrere a questo, la responsabilità è dei suoi ostinati, malvagi, nemici. Insomma, avviluppato da decenni in una realtà politico-esistenziale narcisistico-carismatica, ruotante attorno a lui e fatta di cerchi concentrici di varia umanità, Berlusconi vive la tragedia del distacco dalla realtà. E della rabbiosa frustrazione del non riconoscimento da parte del mondo di quella realtà alterata che alberga nella sua mente e che lo porta a percepirsi come Padre della Patria.

Ma la tragedia non finisce qui. Perché la tragedia consiste anche nel fatto che questa dell’elezione presidenziale rappresenta per l’anziano leader di Forza Italia l’ultima chance. L’ultima possibilità di dimostrare ciò che è, di ricevere ciò che merita. L’Oscar alla carriera, appunto. E questo è ciò che lo rende più spregiudicato, più indifferente alle conseguenze delle sue azioni. Più di quanto non sia stato in passato, quando in momenti complessi aveva accettato il compromesso e la collaborazione, anche se per sfilarsi, poi, tempo dopo. E li aveva accettati anche con chi lo aveva poco prima messo all’angolo. Si pensi ai governi, tanto distanti nel tempo, Dini e Monti (ed anche Letta). Sino alla formazione del governo Draghi. Ma questa è l’ultima occasione. Nel nulla politico che in fondo lo circonda, potrebbe assumere l’iniziativa del kingmaker compiendo il beau geste della rinuncia. Potrebbe farsi regista tra leader indecisi a tutto. In fondo, è così facile primeggiare tra dilettanti. Ma, al momento, calcare per l’ultima volta le tavole del palcoscenico sembra una tentazione troppo grande. Anche perché Berlusconi ha sempre avuto le idee un po’ confuse sulla figura dello statista. Ma sa molto bene cos’è un primattore.

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