Bisogna salvare la musica country dall’appropriazione culturale dell’estrema destra

di Stefano Pistolini (linkiesta.it, 24 dicembre 2021)

Tra le cose che è ora di dire attorno all’America di oggi, se ci si concentra sull’ambito musicale, c’è quella che varrebbe la pena di misurare la temperatura della relazione tra country music e razzismo. Due episodi significativi possono essere la scintilla della riflessione. Il primo parla di Morgan Wallen, artista sconosciuto da noi, dove le sonorità country risultano incomprensibili al di fuori di una ristretta cerchia di cultori, ma autentica superstar oltreoceano. Wallen è di quelli che riaggiorna il filone “outlaw” del country, quello suonato e cantato da personaggi irregolari, anarchici e con un palese penchant per le trasgressioni. Ma lui piace, e moltissimo, nel tempo in cui il country più che mai in passato è divenuta musica identitaria di chi non ne vuole sapere di rinunciare all’America che torni grande riproducendo un modello immaginario del passato.

Ebbene, Wallen qualche tempo fa inciampa in un brutto incidente: tornando a casa da una festa con amici viene ripreso da un telefonino mentre pronuncia con tono sguaiato la famosa N-word, insomma mentre dà del “negro” a qualcuno, la peggiore bestemmia sociale nell’America d’oggi. Il video diventa virale e la macchina della vergogna si mette in moto: cancellato dalle stazioni radio, la casa discografica lo mette in standby, l’agenzia lo molla, la Country Music Academy lo scomunica, gli sponsor se ne vanno, la solita pantomima. Perché invece, in modo sconcertante, le vendite del suo ultimo album Dangerous schizzano in su, moltiplicandosi per cinque, come capita soltanto a chi di colpo diventi un eroe popolare, almeno di una certa America. Comunque, in modo goffo e perfino strafottente, Wallen prova a metter fine all’incidente: va in tv a Good Morning America, si dice dispiaciuto, racconta che era mezzo ubriaco, che quelle cose non le pensa («Era uno scherzo tra di noi»), dice che verserà mezzo milione di dollari alle associazioni per la difesa dei diritti dei neri (poi, in effetti, non lo fa) e quando il conduttore lo incalza («La parola N risale alla schiavitù ed era usata dai bianchi per disumanizzare i neri. È una parola che molti neri hanno sentito prima di essere terrorizzati, picchiati o uccisi. Capisci perché li fa tanto arrabbiare?») e gli chiede se creda che la musica country abbia un problema razziale, lui risponde candidamente: «Non ci ho mai pensato».

Insomma poca introspezione per Wallen, invece un bel periodo di rehab per disintossicarsi dall’alcol, e poi via con una tournée che diventa quella di maggior successo dell’anno in America, con 700mila biglietti venduti e 55 date tutte esaurite. Si direbbe dunque che la sua riabilitazione abbia viaggiato veloce e se per un momento è sembrato che l’industria del country volesse approfittare della storia per dare un segnale contro il razzismo, diciamo che l’occasione è andata sprecata. Dangerous è diventato uno dei successi discografici del 2021, anche ben oltre il genere country. E ha trionfato lo status quo, assecondando i desideri della base conservatrice e intransigente di questa musica, che apprezza Wallen per ciò che rappresenta.

Seconda vicenda: il rapper Lil Nas X s’inventa un pezzo molto inusuale: Old town road, in pratica un esercizio rap su base country, o se volete il contrario, comunque con un bel banjo in primo piano. La canzone è magnetica, piace, viene trasmessa a manetta dalle radio e scala le classifiche di Billboard, l’organo ufficiale dell’industria musicale americana, in particolare quelle del country, fino ad arrivare al primo posto. Salvo poi essere rimossa dai curatori della graduatoria, in quanto sprovvista delle prerogative necessarie affinché un pezzo possa essere considerato country (vi risparmiamo gli approfondimenti, ma sono regole fumose che hanno a che vedere con lo spirito “cowboy” di una melodia). Brutto smacco per il nero Lil Nas X, che era appena riuscito a rompere il brutto muro di separazione. Ma lui non si dà per vinto ed escogita una mossa geniale: pubblica un remix della stessa Old town road in compartecipazione con Billy Ray Cyrus, che, oltre a essere il padre di Miley, è da anni una delle più rispettate personalità del country. La canzone scala fino alla vetta le classifiche generali di vendita in America, pur continuando a disertare quelle specialistiche del country, che si arrogano dal 1939 il diritto di decidere cosa lo sia e cosa no, nel solco della tradizione hillbilly.

Perciò, un’altra occasione persa: il successo di un afroamericano nella scena country avrebbe contribuito a diffondere un’idea di inclusione e a rompere qualche preconcetto. Per cui vale la pena di dire, senza soffermarsi sul profluvio di bandiere confederate, come stanno effettivamente le cose in questo scenario: «Quando leggo commenti che dicono “questo non è chi siamo”, rido perché questo è esattamente ciò che è la musica country», ha twittato Mickey Guyton, una delle poche artiste nere del genere. Le fa eco Darius Rucker, uno dei migliori artisti country neri del momento: «L’odio fa parte della mia vita», ha detto. «C’è gente che non vorrebbe che io cantassi country music».

Il razzismo, e con esso l’apartheid, appartengono all’ordinamento della musica country americana del presente. Ma basta studiare un po’ per accorgersi che le cose, in passato, non stavano così. Saggi come Country: The twisted roots of rock ’n’ roll, del critico Nick Tosches, o Black hillbillies, dell’etnomusicologo Patrick Huber, mostrano che l’ostilità verso gli afroamericani nella scena country si concentra nell’ultimo mezzo secolo. Invece, contributi neri sono all’origine della musica country. Scrive Huber: «Esaminare i dischi prebellici in cui suonavano gli afroamericani dice molto sulla musica hillbilly degli anni Venti e Trenta. Lungi dall’essere anomalie storiche, questi documenti mostrano la notevole, anche se a volte non riconosciuta, partecipazione degli afroamericani a questo genere e riflettono la quantità di cooperazione interrazziale prodotta nelle registrazioni dell’epoca. Questi dischi antecedenti al secondo conflitto mondiale aiutano perciò la comprensione dell’industria discografica hillbilly durante il suo periodo formativo».

L’occultamento delle radici nere ha però chiaramente continuato il suo cammino se Old town road, brano di innegabile suono e ambientazione country, viene espulso dalle classifiche neo-hillbilly senza che nessuno abbia da ridire e tracciando un collegamento con un passato imbarazzante. Tra i Florida Georgia Line e Brantley Gilbert doveva esserci anche Lil Nas X, ma la cosa urtava troppo forte con alcuni preconcetti. Proviamo solo a ipotizzare che gli artisti bianchi vengano estromessi, in quanto non congrui, da qualsiasi classifica della soul music: sarebbe sconcertante, no? Provocherebbe una sollevazione. «Che il pezzo di Lil Nas X fosse puro country per me era ovvio dopo averlo ascoltato una sola volta», ha scritto Billy Ray Cyrus sui social. «È onesto, umile, ha un ritornello contagioso e un banjo. Che diavolo serve di più?».

Già, il banjo: a proposito. La menzione del banjo è un sagace riferimento alle origini della musica country. Il banjo non molto tempo fa è addirittura finito al centro di un’inchiesta di Time, che si chiedeva se il suo suono ormai fosse un segno di riconoscimento tra i sostenitori del razzismo – sia quello proclamato, sia quello silenzioso. Anche qui, però, fioccano le sorprese: ad esempio nello scoprire che oggi il banjo viene volutamente recuperato da artisti progressisti della scena country-pop contemporanea come Taylor Swift, che ne è una discreta virtuosa, o The Lumineers, Mumford & Sons e Avett Brothers. Tuttavia, peccato che Time non faccia un passo più in avanti, analizzando le radici africane dello strumento. «Il banjo non è riservato ai montanari sdentati che suonano bluegrass», dice Don Flemon dei Carolina Chocolate Drops. È arrivato negli Stati Uniti dall’Africa occidentale ed era diffuso tra gli schiavi che sfidavano le restrizioni sull’utilizzo dei tamburi, scegliendo di pizzicare il malinconico banjar, come si chiamava allora.

In sostanza, se la questione di fondo sta ovviamente nel marcio che infesta questa società anche in ambiti imprevedibili, come la cultura popolare connessa alla musica, la prima, indispensabile battaglia da combattere è quella contro l’ipocrisia che avvolge tutto ciò, immergendolo in un silenzio consenziente. Billy Ray Cyrus e Lil Nas X non hanno messo fine al razzismo, ma costringono l’industria a dare un’occhiata in più al suo brutto passato e alle sue pericolose permanenze. Morgan Wallen ormai si è trasformato in un emblema di un certo modo di vivere l’America. Avere a che fare con lui, comprandolo e ascoltandolo, consideriamolo un gesto identificativo. Poi vi diranno che è musica patriottica. Ma tirate da soli le vostre conclusioni.

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