La lunga campagna elettorale del non candidato Zuckerberg

Mr. Facebook: “Niente politica”. Ma visita 30 Stati per “conoscere meglio gli americani” E assume i consiglieri di Obama e Hillary. La sua popolarità però è solo al 24 per cento

di Federico Rampini (repubblica.it, 8 agosto 2017)

Mark Zuckerberg for President? La sinistra americana, tuttora depressa e disorientata nonostante il caos-Trump, sogna un cavaliere bianco che arrivi al galoppo per salvarla. Chi meglio del giovane che ha inventato il social medium da due miliardi di utenti?fbIl padrone di Facebook smentisce: “Non sarò candidato”. Ma dicono tutti così, fino a un minuto prima del fatidico annuncio. Sui piani di Zuckerberg per scalare la Casa Bianca – e scalzare The Donald il più presto possibile – è lui stesso ad aver seminato indizi. È partito per un tour nazionale in 30 Stati Usa con lo scopo dichiarato di “conoscere meglio gli americani”. Ha cominciato dall’Iowa dove hanno inizio ogni quattro anni le primarie per la nomination. Poi il Michigan dove ha incontrato a Detroit gli operai della Ford, una constituency che fu decisiva per l’elezione di Trump. È passato nell’Ohio, altro Stato-chiave per conquistare la presidenza. Prima di partire aveva assunto nella propria Fondazione uno degli strateghi delle vittorie di Barack Obama, David Plouffe, considerato un genio del marketing elettorale. Pochi giorni fa un altro reclutamento, Joel Benenson: pure lui lavorò con Obama come esperto di analisi demoscopiche, poi fu il chief strategist della campagna di Hillary Clinton. Alle dietrologie su queste due assunzioni, Zuckerberg risponde: Plouffe e Benenson sono talenti al servizio dell’impegno umanitario. Quei due aiutano la Fondazione Chan Zuckerberg (il primo cognome è della moglie) nei progetti per “curare malattie, migliorare l’istruzione, dare voce a tutti coloro che vogliono costruire un futuro migliore”. Non bastano queste smentite a placare i sospetti. La Fondazione può diventare un ideale trampolino per la candidatura. Nell’azione umanitaria c’è un condensato dei valori che Zuckerberg propone agli americani, un suo identikit etico e politico. Non è detto che un suo ingresso in politica debba avvenire attraverso uno dei due partiti tradizionali. Altri imprenditori si candidarono da indipendenti: Ross Perot che fu battuto alle presidenziali del 1992 ma ebbe un seguito superiore alle previsioni e prefigurò il protezionismo di Trump; Michael Bloomberg con più successo come plurieletto sindaco di New York. Tuttavia se c’è un partito che in questo momento ha un gran bisogno di volti e idee nuove, ricambio generazionale e progettuale, è il partito democratico. “Missing in action”, come i soldati scomparsi in guerra: per quanti disastri abbia combinato Trump nei primi 200 giorni, si parla solo di lui. Cosa faccia l’opposizione democratica, lo sanno in pochi. E sul partito incombe ancora il potere dei Clinton che non hanno mollato la presa. La selezione di una nuova classe dirigente urge: già tra 15 mesi si vota per le legislative di mid-term, la prima occasione di rivincita contro Trump. Guai ad arrivarci senza messaggi chiari e candidati convincenti. Zuckerberg ha delle qualità evidenti. È giovane: 32 anni. È un outsider. Ha costruito un’impresa che vale enormemente più di quella di Trump: 498 miliardi di dollari la capitalizzazione di Facebook. E non è un’impresa qualsiasi, è la nuova “piazza virtuale” dove quasi un terzo della popolazione mondiale dialoga e socializza, si scambia informazioni, emozioni, amicizie. È disinteressato: donerà alla sua Fondazione il 99% della ricchezza. È progressista… ma su quest’ultima affermazione si apre un problema. I liberal della Silicon Valley sono fin troppo di sinistra – rispetto al baricentro politico della nazione – su temi come l’ambiente, i matrimoni gay o la marijuana. Ma hanno costruito un’alleanza malefica con Wall Street e un capitalismo diseguale, afflitto da problemi sociali enormi. Che non si risolvono a colpi di beneficenza: proprio Zuckerberg è incappato in un disastro quando ha donato 100 milioni per risanare le scuole pubbliche di Newark (New Jersey) con risultati fallimentari. E così dal sito Politico.com parte una messa in guardia, dell’opinionista Bill Scher: “Zuckerberg, stai attento. Non confondere la popolarità di Facebook con la tua personale”. In effetti solo il 24% degli americani ha un’opinione positiva di lui. La sinistra rischia di credere che dopo Trump qualsiasi imprenditore può vincere. Dimenticando due cose. Primo, Trump si è allenato per decenni come figura pubblica, protagonista di controversie e polemiche feroci (per esempio su “Obama nato all’estero”) per saggiare i suoi potenziali elettori. Secondo: una regola d’oro è che gli americani dopo un presidente vogliono un successore che sia l’estremo opposto. Vedi la sequenza Bush-Obama-Trump. Il multimiliardario forse deve saltare un turno.