La tormentata storia della salma di Evita Perón

(ilpost.it, 28 luglio 2022)

Il 26 luglio 1952 moriva Eva Maria Duarte, meglio conosciuta come Evita Perón, first lady dell’Argentina dal 1946 fino al momento della morte, e ancora oggi considerata una figura importante e controversa nella storia del suo Paese, simbolo tra le altre cose dell’impegno sociale. La storia di Evita, moglie del militare e presidente argentino Juan Domingo Perón, fu notevole anche dopo la sua morte: il suo cadavere imbalsamato fu esposto in una bara di vetro per mesi, ma dal 1955, per circa sedici anni, non se ne seppe più nulla. Era nata il 7 maggio 1919 a Los Toldos, in provincia di Buenos Aires: attrice di successo, nel dicembre del 1945 aveva sposato Perón, che, dopo aver provocato la caduta del presidente Ramón Castillo con un colpo di stato, nel 1943, vinse le elezioni del gennaio del 1946.

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Perón attuò un programma nazionalista e statalista, con un forte carattere sociale, cercando di favorire i lavoratori e di ottenere il controllo statale su tutti gli enti stranieri che operavano in Argentina. Evita contribuì in modo determinante a questo orientamento politico, gestendo l’immagine del marito, cercando di mantenere per il governo buoni rapporti con la Chiesa cattolica e mettendo al centro della politica peronista, con la sua stessa attività, la classe operaia e le donne. Quando morì per un tumore al collo dell’utero, a 33 anni, fu proclamato il lutto nazionale per un mese. La notizia fu data alla radio argentina con un comunicato in cui «il popolo della Repubblica» veniva informato della scomparsa di quella che poco prima era stata definita il «capo spirituale della nazione»: al suo funerale parteciparono più di due milioni di persone e nei giorni seguenti la sua salma fu esposta in una bara di vetro nella sede di Buenos Aires della Confederación General del Trabajo, il principale sindacato argentino.

Perón desiderava che il corpo della moglie venisse imbalsamato e che le sue spoglie venissero deposte in un mausoleo dedicato ai “descamisados” (scamiciati), il nome con cui erano conosciuti i suoi sostenitori, che, dopo un suo arresto nel 1945, avevano protestato nelle strade togliendosi giacche e camicie, violando una norma che imponeva d’indossare sempre la giacca. Dal momento che i piani per la costruzione del monumento tardavano, però, la salma continuò a essere esposta nella sede della Confederación General: vi rimase fino al novembre del 1955, quando un nuovo colpo di stato militare destituì il presidente e fece sparire il cadavere della moglie. Come ha raccontato a Bbc Mundo il giornalista Miguel Bonasso, ex militante dell’organizzazione peronista di sinistra Montoneros, i militari che avevano deposto Perón nel 1955 volevano verificare che quello esposto fosse effettivamente il corpo di sua moglie, e non «una bambola di cera». Per questa ragione interpellarono una commissione di medici, che prelevarono un campione di tessuto dall’orecchio sinistro e le tagliarono un dito per controllare le impronte digitali, sottoponendo la salma anche a una serie di radiografie.

Per il timore che i sostenitori di Perón potessero cercare di rubare il corpo di Evita e usarlo per creare sollevazioni nel Paese, i militari misero a punto un piano segreto per sequestrarlo e nasconderlo. Secondo lo storico argentino Felipe Pigna, che alle vicende di Evita Perón ha dedicato due libri, l’allora presidente di fatto Pedro Eugenio Aramburu ordinò ai servizi segreti dell’esercito di donare «cristiana sepoltura» al corpo, seppellendolo in forma anonima in un posto in cui non avrebbe avuto troppe attenzioni. Il capo dei servizi, Carlos Moori Koenig, disobbedì: anziché seppellire Evita Perón, cercò di nascondere il suo corpo in vari punti di Buenos Aires, compresa la propria casa e quella di un suo sottoposto. Alla fine Moori Koenig, un convinto antiperonista, portò la salma nel suo ufficio, collocandola in una stanzetta, in posizione verticale, all’interno di una cassa che in origine conteneva strumenti per le radiotrasmissioni.

Sia Bonasso sia Pigna raccontano che il capo dei servizi segreti aveva sviluppato una vera ossessione per il cadavere di Evita, una donna che in vita aveva disprezzato, e che per questa ragione di tanto in tanto lo esibiva «come un trofeo». Nel 1957, quando si scoprì che la salma era nel suo ufficio, prese il via la cosiddetta «operazione trasferimento», oppure «operazione evasione»: l’idea era quella di portare il corpo in Italia per nasconderlo, grazie anche alla collaborazione della Chiesa cattolica. Si fece carico di gestire il trasporto un delegato della Santa Sede, che comprò un sepolcro al Cimitero Maggiore di Milano e aiutò a organizzare il viaggio. Nell’aprile del 1957 il corpo arrivò via nave a Genova, dove fu registrato col nome fasullo di Maria Maggi de Magistris, una presunta vedova italiana morta in Argentina. I suoi resti furono trasferiti a Milano, dove rimasero per i successivi quattordici anni. Per tutto questo tempo una donna di nome Giuseppina fu pagata per portare fiori alla tomba, ignara che si trattasse dell’ex first lady argentina. Le cose cambiarono a partire dal 1970, quando un gruppo di giovani peronisti sequestrò e assassinò Aramburu, accusandolo tra le altre cose di aver fatto sparire il cadavere di Evita.

A quel punto il nuovo leader militare del Paese, il generale Alejandro Lanusse, propose come gesto di riconciliazione di restituire i resti, facendo cominciare così la cosiddetta «operazione restituzione». Il 1° settembre 1971 il cadavere fu esumato e trasportato nella residenza di Juan Domingo Perón a Madrid. Due anni dopo, nel 1973, Perón rientrò in Argentina, ma senza le spoglie di Evita. Il cadavere della moglie venne riportato nel Paese solo nel novembre del 1974, quattro mesi dopo la morte di Perón, e solo grazie allo scambio con un altro cadavere: quello di Aramburu, che a sua volta era stato sequestrato dai guerriglieri per poter riavere quello della ex first lady. Secondo le indagini di Bonasso, Perón aveva scoperto trentacinque lesioni sul cadavere e ne aveva scattato varie fotografie, che però non sono mai state diffuse. Il corpo di Evita fu mummificato, sistemato ed esibito assieme al feretro del marito (chiuso) in una cripta funebre nella residenza presidenziale a Buenos Aires. Dopo un nuovo colpo di stato, compiuto nel 1976, i suoi resti furono restituiti alle sorelle Duarte, che la fecero seppellire nella tomba di famiglia alla Recoleta, il cimitero più costoso ed esclusivo della Capitale argentina, dove oggi è la tomba più visitata.

Evita Perón fu una figura molto controversa nella storia dell’Argentina. I suoi detrattori la consideravano una figlia illegittima – era nata dalla relazione extraconiugale tra un piccolo proprietario terriero e una cuoca – e una donna di spettacolo disinvolta che era riuscita a conquistare fama e potere grazie al suo matrimonio con il futuro presidente del Paese: la ritenevano, cioè, un simbolo del risentimento verso il peronismo e verso la sua demagogia. Per molti altri argentini, invece, Evita diventò una figura quasi mitica, considerata il simbolo dell’impegno sociale e di chi stava dalla parte del popolo. In Argentina il sessantesimo anniversario dalla sua morte fu celebrato con la stampa di venti milioni di copie di una banconota da cento pesos con la sua immagine. Adesso, trascorsi settant’anni, è stato adattato in una serie televisiva il libro che, tra le altre cose, ripercorre le complicate vicende del suo corpo dopo la morte: Santa Evita, dello scrittore argentino Tomás Eloy Martínez.

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