Dall’aratro alla ruspa: Salvini e/o Mussolini

di Aldo Cazzullo (corriere.it, 26 febbraio 2020)

Paragonare il Duce al Capitano è «come confrontare Rita Hayworth ed Elettra Lamborghini». Parte da questa premessa Pietrangelo Buttafuoco, per il volume che PaperFirst, la casa editrice del Fatto Quotidiano, sta per mandare in libreria. Una premessa necessaria per capire che si tratta di un divertissement intellettuale: per apprezzarlo bisogna leggerlo senza le lenti dell’ideologia.

Il Fatto Quotidiano via Facebook
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L’autore parte dallo storico pamphlet di Ezra Pound, Jefferson e/o Mussolini, in cui il poeta dei Cantos accostava il presidente americano al dittatore italiano, e ne aggiorna il titolo, che diventa Salvini e/o Mussolini. Ne nasce un dizionario, dalla A di America — Salvini viene buggerato dall’infido Trump che gli preferisce «Giuseppi» Conte, Mussolini dopo un feeling iniziale paga l’alleanza con Hitler fino al disastro militare — alla Z di Zorro, eroe favorito di entrambi. Comincia così il gioco delle analogie e delle differenze, delle vite parallele, di «Ieri» e «Oggi». Entrambi hanno un grande vecchio che incombe e di cui non riescono a liberarsi: «Il re di Salvini è Berlusconi; il Berlusconi di Mussolini è Vittorio Emanuele III». L’opposizione la faceva Benedetto Croce e ora la fa Fabio Fazio. «Mussolini ebbe come agiografa Margherita Sarfatti, Salvini ha Annalisa Chirico». La nemica ieri era Violet Gibson, che spara al Duce ferendolo al naso, oggi è Carola Rackete (ma c’è anche chef Rubio, «ostile al punto di essere diventato un termine di paragone. Alex Zanotelli, un religioso, missionario comboniano, lancia un terribile anatema contro Salvini — «va processato per la sua disumanità» — e il leader della Lega così replica: «Ma Chef Rubio s’è travestito da prete?»). Salvini ha Bibbiano, Mussolini lo scandalo di Gino Girolimoni (cui vengono attribuiti ingiustamente crimini sui bambini).

L’ispiratore dichiarato e rinnegato di Salvini è Umberto Bossi (ma la Lega Nord non ha mai rinunciato all’indipendenza della Padania, a differenza del movimento parallelo Lega per Salvini Premier), quello di Mussolini è Jan Hus, eretico bruciato vivo cui dedicò un libro prima della svolta clericale. Salvini ha Ruini, Mussolini il Papa in persona che lo definisce «l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare». Salvini litiga con la grande eccentrica Asia Argento, ma poi scatta con lei un selfie sorridente; Mussolini si lega ma poi litiga con Leda Rafanelli Polli, «sacerdotessa di Zoroastro ma anche musulmana di derivazione sufi». Uno salutava romanamente, l’altro vibra schioccanti baci ai Rosari. Mussolini aveva Mino Maccari e Leo Longanesi, «i due nani di Strapaese» come li definiva lo spilungone Curzio Malaparte, che li descriveva mentre «passeggiano nervosamente sotto il letto tutta la notte»; Salvini deve accontentarsi di Luca Morisi, poiché «l’algoritmo traccia il solco ma è la Bestia che lo difende. A chi Tik Tok? A lui». E ancora: il simbolo della lista dei Comunisti padani, guidati da Matteo quando portava l’orecchino e frequentava il Leonka, era Che Guevara; il giovane Benito aveva al fianco Bombacci, che diventerà comunista per poi morire al suo fianco. Uno aveva la camicia nera, l’altro la felpa. Uno Leni Riefensthal, la regista di Olympia premiata con la Coppa Mussolini al Festival del cinema di Venezia, l’altro Maria Giovanna Maglie. Uno era messo in ombra da Balbo, l’altro dalla Meloni. Uno tuonava contro Cagoia, simbolo di viltà mutuato dal dannunzianesimo, l’altro contro il detestato Conte. Ieri le colonie marine, oggi il Papeete. Ieri la trebbiatrice della battaglia del grano, oggi la ruspa della battaglia contro i rom. Ieri Costanzo Ciano, oggi Denis Verdini.

A volte le due strade si incrociano: come quando Salvini cita Mussolini — «noi tireremo diritto», «molti nemici molto onore», «chi si ferma è perduto» —, o meglio crede di citarlo: la seconda frase è del condottiero tedesco von Frundsberg, la terza di Dante. A patto di non alzare troppo il sopracciglio e di non prenderlo troppo sul serio, Buttafuoco si conferma insomma il vero narratore (come si sarebbe detto ieri, mentre oggi si preferisce storyteller) della politica italiana.

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