Il trionfo delle ragazze del volley, manifesto della Turchia laica

di Nadia Boffa (huffingtonpost.it, 4 settembre 2023)

Nella piazza principale di Smirne, roccaforte della Turchia laica, quattro milioni di abitanti circa, ieri sera c’erano decine di migliaia di persone. Tutte radunate davanti ad un maxischermo per guardare la finale dei Campionati Europei femminili di pallavolo, in cui era impegnata la Nazionale turca, che poi ha vinto contro la Serbia. Al quindicesimo punto del quinto set, quello che ha determinato la vittoria delle turche – allenate dall’italiano Daniele Santarelli – si è sentito un boato di voci di donne e poi un grido: «Loro sono le nostre sultane».

Nella piccola Sinope, poco meno di 40mila abitanti, sulla costa del Mar Nero, diverse centinaia di persone si sono ritrovate davanti ad uno schermo per lo stesso motivo, mentre a Istanbul sono stati organizzati fuochi d’artificio in tutta la città dopo la vittoria di ieri. In Turchia sta accadendo qualcosa di mai successo in precedenza: una squadra femminile di uno sport considerato secondario nella società sta catalizzando l’attenzione di un intero Paese, diventando simbolo di emancipazione femminile.

La squadra di pallavolo della Nazionale femminile turca viene definita da tutti i giornali anti-governativi «la squadra sportiva di maggior successo nella storia del Paese». E lo confermano i numeri delle persone – non solo donne – che si sono ritrovate a seguire le loro beniamine in questi giorni. Il successo delle atlete ha travalicato i confini tra città e campagna, tra Turchia laica e Turchia islamica. Incredibili i dati di ascolto sull’emittente statale – dove sono state trasmesse le partite del campionato europeo femminile – sono stati registrati in tutto il Paese. Sui social network turchi tutti parlano delle pallavoliste della Nazionale, soprannominate Filenin Sultanları, cioè “sultane della rete”.

Flotte di donne, soprattutto giovani, celebrano i successi della squadra, copiano le acconciature e gli abbigliamenti delle atlete, fanno gossip sulle loro relazioni amorose, parlano di loro come di «vere donne combattenti che possono far risvegliare l’ottusa società turca». E diversi quotidiani segnalano che da quando le prestazioni della squadra femminile sono balzate agli onori della cronaca – da diversi anni la Turchia raggiunge buoni piazzamenti nelle competizioni internazionali e lo scorso luglio la squadra turca aveva già raggiunto la storica vittoria della Volley Nations League – il numero di ragazzine che si iscrive a pallavolo in Turchia è aumentato esponenzialmente.

«Le sultane della rete sono una rara fonte di orgoglio nazionale, che esercita un fascino trasversale nonostante tutte le divisioni sociali del Paese» scrive sul New York Times il corrispondente da Istanbul Ben Hubbard. «Le giocatrici trasudano potere da star», continua Hubbard. Per molte donne turche poter tifare per una squadra femminile così forte ha un effetto anche sulla percezione del loro ruolo di donne, in un Paese in cui il governo sempre più autoritario e conservatore di Recep Tayyip Erdoğan ha messo in discussione i passi avanti che erano stati fatti verso una maggiore parità di genere nella società.

Le giocatrici della Nazionale si presentano in modo esplicito come sostenitrici della parte più progressista e non integralista della società turca. La settimana scorsa Zehra Gunes, che gioca nel ruolo di centrale, ha detto alla stampa che la squadra porta avanti una visione della società turca che s’ispira a quella di Atatürk, considerato il “padre fondatore” della Turchia moderna e laica. «Come donne turche, cerchiamo di essere modelli per le generazioni future, mantenendo una luce sul percorso indicato da Atatürk», ha affermato. Le pallavoliste turche non si coprono i capelli, né indossano abiti che nascondano il loro corpo, come fanno la maggior parte delle donne e atlete musulmane.

Al contrario, sono sempre apparse con l’uniforme standard che indossano le loro colleghe occidentali, composta da pantaloncini e canottiere. Mettono anche in mostra spesso, a favore di telecamera, i loro vistosi tatuaggi, o le loro particolari acconciature. Melissa Vargas, la capocannoniera della squadra – che, tra l’altro, è di origine cubana, poi naturalizzata turca – è apparsa in campo, durante l’ultimo torneo, con i capelli tinti di blu elettrico, o biondo platino, oppure ancora con un fulmine di colore blu sopra l’orecchio. Un’altra giocatrice, Ebrar Karakurt, che gioca nel ruolo di opposto, è dichiaratamente omosessuale e pubblica spesso, sui suoi profili social, foto con la propria compagna, anche in atteggiamenti intimi.

I giornali e i gruppi più conservatori in Turchia hanno spesso espresso il proprio disappunto rispetto alle atlete. Il quotidiano filogovernativo Yeni Akit ha definito Karakurt «la nostra vergogna nazionale», «un’omosessuale deviante che impone uno stile di vita perverso», dopo il successo della squadra nella Fivb Volleyball Women’s Nations League 2023. Ma Karakurt ha risposto, tramite i social, con una citazione del poeta İsmet Özel: «Attorno al mio collo ci sono gioielli fatti con la vergogna di coloro che mi impongono un giudizio, la medaglia d’oro». Il post è stato commentato e condiviso da migliaia di donne turche, intervenute in difesa della giocatrice. Dopo aver vinto alle semifinali contro l’Italia lo scorso 1° settembre, Karakurt ha risposto alle critiche ricevute pubblicando su Twitter una foto con un cartello con la scritta: «Basta con le stronzate, Abdulhamid», citando il nome di un utente che aveva commentato la sua lontananza dai principi musulmani.

Nel 2021, quando la squadra stava gareggiando alle Olimpiadi estive di Tokyo, diversi importanti predicatori musulmani avevano criticato aspramente la squadra per non aver aderito alla concezione islamica della donna. «Ragazze dell’Islam! Non siete il sultano dei tribunali; voi siete il sultano della fede, della virtù, della castità e della decenza» aveva scritto il predicatore Ihsan Senocak sul vecchio Twitter. E già allora si era scatenata una faida con la Federazione turca di volley, che aveva elogiato Karakurt, dotata dello «spirito di una combattente per rappresentare il proprio Paese».

Il presidente turco Erdoğan è stato molto attento, in questi anni, a non opporsi dichiaratamente alla squadra, che sta raccogliendo enormi consensi nella popolazione e che comunque è simbolo di orgoglio nazionale turco, perché permette alla Turchia di essere riconosciuta a livello globale – cosa alla quale il nazionalista Erdoğan tiene, e non poco. Ieri il ministro della Gioventù e dello Sport Osman Askin Bak si è congratulato con la squadra, che «ha fatto ancora una volta la storia». «Mi congratulo con le atlete, il comitato tecnico, i dirigenti e gli appassionati di sport che hanno contribuito a rendere la Turchia il “Paese della pallavolo”» ha detto.

L’atteggiamento del presidente turco nei confronti delle pallavoliste è allora piuttosto ambiguo. Nel 2021, quando Vargas aveva ottenuto la cittadinanza turca, era stato lo stesso presidente a volerle consegnare ufficialmente la carta d’identità. Dopo la prima partita alle Olimpiadi di Tokyo, Erdoğan aveva chiamato la capitana Eda Erdem per dirle: «Ci hai fatto diventare emotivi, ci hai fatto piangere». L’estate scorsa, però, era nato un piccolo caso quando un politico dell’opposizione, Gulcan Kis, aveva chiesto al Parlamento come mai il ministro dello Sport non fosse stato presente a nessuna delle partite della Volleyball Nations League femminile, insinuando che il governo di Erdogan non volesse indispettire i suoi sostenitori più conservatori.

Le “sultane della rete” sono diventate un fenomeno osservato da tutti i giornali internazionali, che già da due anni parlano di come siano state in grado di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica molto più della squadra di calcio maschile turca. E questo non poteva non essere un segnale: Erdoğan, infatti, ha giocato per molto tempo a calcio nel Kasımpaşa Spor Kulübü prima di essere eletto sindaco di Istanbul nel 1994. E ha sempre sottolineato la sua passione per lo sport che in Turchia è ancora eminentemente maschile. Sembra chiaro che le “sultane della rete” hanno iniziato una rivoluzione culturale nel Paese, di cui già si scorgono i primi importanti segnali. La Lega Nazionale femminile è estremamente competitiva e ricca di sponsorizzazioni. Ma, soprattutto, il Ministero dell’Istruzione ha dato il via al programma Sultane di domani per presentare il gioco della pallavolo alle ragazze delle città di provincia.

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