Kakha Kaladze: «La politica è puro wrestling. Io sto provando a cambiarla»

di Francesco Battistini («Sette», suppl. al «Corriere della Sera», 12 luglio 2018)

Tbilisi – «Vuoi vedere che l’eredità politica di Berlusconi siamo Weah, Sheva e io?…». Del suo vecchio capo rossonero, gli è rimasto il gusto per le camicie: bianche, nere, colorate. «Ogni tanto, col presidente ci sentiamo ancora. L’ultima volta è stata quando ho vinto le elezioni. Mi ha chiamato lui per farmi i complimenti. Era orgoglioso, un suo ex giocatore che continua a vincere…».KakhaC’era il Milan che faceva tremare il mondo, certo. E ci sono i milanisti che ora il mondo se lo stanno prendendo. Con la politica cominciò un certo Gianni Rivera, già parlamentare com’è adesso Galliani. Poi sono arrivati loro, i Berlusconi Boys: George Weah che fa il presidente della Liberia, Andrij Shevchenko che bazzica il transatlantico ucraino, il Clarence Seedorf nipote di schiavi che ha sempre sognato il Suriname, Demetrio Albertini e Billy Costacurta nel governo della Federcalcio… E qui davanti Kakhaber “Khaka” Kaladze, che difendeva coi Nesta e coi Maldini. Zanna Bianca o Corriere dello Zar, come lo chiamavano i cronisti sportivi. Primo giocatore post-sovietico a vincere una Champions. Nove mesi fa, eletto a maggioranza assoluta sindaco di Tbilisi. Gli eredi che Berlusconi non ha ancora trovato in Forza Italia, li ha partoriti nel mondo Forza Milan: «Silvio ci ha influenzato un po’ tutti, questo è evidente», si fa una risata, «anche se è una cosa strana, perché in dieci anni non ho mai sentito parlare di politica in spogliatoio. Sapevo che c’erano anche idee diverse. Ma non commentavamo le scelte del presidente e lui non ci chiedeva nulla. Se veniva a trovarci, erano solo barzellette sul calcio o sulle donne. Non aveva certo bisogno di fare campagna elettorale con noi». Al ventesimo piano del palazzo comunale, vetrate e parquet chiari e qualche trofeo Uefa in bacheca, Kakha Kaladze non ha molto tempo per guardare i Mondiali (tifa tutti meno che la Russia: «Mi fa strano non vedere giocare l’Italia, però Mancini è bravo e penso che il vostro problema adesso sia far crescere un po’ di giovani, dare fiducia ai vivai…») ed è alle prese con una cosa ben più noiosa, il piano urbanistico della capitale. Il suo vice entra ed esce trafelato, le promesse elettorali vanno marcate a uomo, le competenze presidiate a zona: «È la mia partita da Champions, voglio passare alla storia della città come un buon sindaco. Voglio fare bene, bene, bene. Tre volte bene. A questo piano della città lavoriamo da mesi, ci sono molti investitori stranieri. Anche italiani. Ho appena incontrato un costruttore, Pizzi, il lavoro da fare è enorme. È andato in città vecchia? Ha visto quante case scassate da risistemare?».

Senta, Kaladze: lei ha una bella moglie, tre figli, un cane, un po’ di soldi da parte. Ma chi gliel’ha fatto fare?

«Anche quando stavo in Italia, continuavo a seguire le cose che succedevano in Georgia. Non potevo non farlo».

Sussurrano che c’entri la tragedia di suo fratello…

«Certo, quelli furono anni duri. Che hanno lasciato un segno. Io ero appena arrivato al Milan, quando qui rapirono Levan. Ci chiesero 600mila dollari di riscatto, ma lui non tornò mai a casa: lo trovarono morto anni dopo. Però, no, non fu quello a farmi entrare in politica. Putin s’era comprato il presidente della Georgia, Saakashvili. Lo teneva a libro paga. Io ero lontano da queste cose, ma anche da Milano le capivo. Qui c’era un regime. Se la pensavi diversamente, eri un nemico. Terrorizzavano chi faceva affari, chiedevano tangenti su tutto. Poi è arrivato Bidzina Ivanishvili, uno che poteva vivere bene in qualunque parte del mondo e invece ha fondato un partito qui, Sogno Georgiano, per cambiare le cose. Mi son detto: è il momento giusto per fare le riforme, ho voluto dare una mano».

Ville con le cascate artificiali, un partito, le tv, le costruzioni, un patrimonio che è un terzo del Pil georgiano: Ivanishvili somiglia molto a Berlusconi…

«In comune, hanno la ricchezza. Sono onorato di conoscerli tutt’e due. Bidzina ha fatto molto per il Paese, ha speso 700 milioni di euro in beneficenza, ha pagato le riforme di polizia ed esercito, ha restaurato 104 chiese. Berlusconi finanzia lo sport, Bidzina lo fa: è sempre in forma».

Gli ha proposto di comprare il Milan?

«Non gli interessa, è molto concentrato sulla Georgia».

Sì, molto: lo criticano perché ha qualche conflitto d’interessi…

«Ho conosciuto gente che è entrata in politica senza un soldo ed è diventata ricchissima. In Georgia come all’estero. Prenda Trump o Berlusconi: io non credo che sia un problema, avere in politica chi ha fatto tanto nel business».

Dicono pure che lei sia un po’ la longa manus del miliardario georgiano…

«Diciamo che dal calcio sono passato al wrestling. Perché la politica è puro wrestling. Con colpi duri e altri che a volte non sono neanche colpi veri. Sto provando a cambiare la politica, finché non sarà la politica a cambiare me. La cosa più importante, è che io resti com’ero prima».

Lavora tanto?

«Tantissimo. Dalle 9 all’una di notte. Tutti i giorni. I ritmi di Milanello, al confronto, erano uno scherzo. Mi manca quel mondo, l’adrenalina delle partite. Qua è tutto diverso: le responsabilità sono molto più grandi, Tbilisi è un quarto della popolazione della Georgia, produce la metà del Pil, in sei anni le auto sono triplicate. Però, se riesci a risolvere un problema qui, è una soddisfazione. Vedo poco la famiglia e gli amici, questo lo soffro. Ma nel calcio ho imparato a usare il tempo con razionalità».

È molto diversa la politica italiana?

«Non vedo tanta differenza. Puro wrestling anche lì. L’Italia è un Paese più avanti e per certi versi fare politica è più facile. Da voi ha vinto Salvini, vero? Noi ci portiamo ancora dietro i problemi della vecchia Urss. Abbiamo vissuto momenti molto difficili, una guerra, i russi che ci hanno tolto l’Abkhazia e l’Ossezia. Oggi siamo cresciuti economicamente, per andare all’estero non serve più il visto. Puntiamo a entrare in Europa, perché cent’anni fa era all’Europa che si pensava quando la Georgia diventò indipendente. Ma il lavoro è ancora tanto».

Gira una voce: dopo Stalin, è Kaladze il georgiano più famoso nel mondo…

(Risata) «Sì, lo so. È solo perché col Milan ho vinto praticamente tutto, ho ancora 40 anni e molti s’identificano in me. La mia era una normale famiglia di Samtredia, profonda provincia, lontana da tutto. Quando sono entrato in politica, ho parlato anche a quella Georgia tagliata fuori dallo sviluppo: “Avete qualche possibilità di godere di tutto quello che viene costruito e mostrato in tv?”. Da ragazzo, mi alzavo alle 6 per andare a correre. Non è stato facile, ho dovuto lavorare su di me: nella Dinamo Tbilisi, alla Dinamo Kiev, dove sono diventato amico di Shevchenko, al Milan, al Genoa, capitano della Nazionale, deputato, ministro, vicepremier…».

Da sindaco, c’è una città che imiterebbe?

«Tutte le città europee sono messe meglio di noi per le infrastrutture. Mi piace molto Praga, per come ha unito la parte moderna a quella vecchia. E Milano: nel 2001, ricordo che vi arrivai e aveva un traffico impossibile come Tbilisi. Ci sono stato qualche settimana fa per la partita d’addio di Pirlo, ed è un’altra cosa».

E un politico ex compagno di squadra? Weah è molto chiacchierato, pare sia un presidente autoritario…

«George è in gamba. È sempre stato attaccato in Liberia, anche quando aveva partecipato alle prime elezioni e aveva perso. Si vede che stava dando fastidio!».

È pronto a fare il premier?

«No, siamo già pieni di politici che pensano solo alla carriera futura. Una partita alla volta: io adesso mi concentro su Tbilisi, ho una squadra di giovani che hanno studiato all’estero. Puntiamo su traffico e turismo. Sul verde. Ad abbattere lo smog. Stiamo mettendo in regola i tassisti, che non sappiamo nemmeno quanti siano! Ognuno fa il prezzo che vuole, questo è assurdo».

Dieci anni fa, la guerra-lampo con la Russia: raccontano che lei chiese a Berlusconi d’intervenire…

«Questa è una storia vera. I russi erano entrati, non si fermavano, volevano arrivare a Tbilisi coi carri armati. Morivano i nostri ragazzi, perdevamo i nostri territori. I francesi e gli ucraini mediavano, ma Putin non ascoltava nessuno. Io stavo al Milan, sapevo che Silvio era suo grande amico. Allora gli telefonai ad Arcore: “Presidente, faccia qualcosa per il mio Paese!…”. Lui si mosse, chiamò il Cremlino. Tutte le volte che mi vede, Berlusconi cita sempre questo episodio».

Voi georgiani siete stati fra i primi a fare i conti con Putin.

«Per chi viene qui dall’estero a investire, è fondamentale sapere che rapporti abbiamo con Mosca. E purtroppo i russi sono il nostro problema. Non hanno mai accettato la nostra indipendenza. Non abbiamo rapporti diplomatici. Però riusciamo a esportare la nostra famosa acqua Borjomi, le verdure, i vini. Sa che il vino georgiano è ottimo, vero? Non come l’italiano, ma ci difendiamo bene».

Quindi il nuovo governo italiano fa bene a voler aggirare le sanzioni alla Russia?

«Per noi è stato utile. Bisogna essere realisti. E pensare all’interesse del proprio Paese. Se l’Italia ha buone ragioni per pensare che le sanzioni sono un grave problema, perché no? Io ho fatto il ministro dell’Energia e ho visto come l’Europa, tutta quanta, dipenda dal gas russo. Per Putin è un’arma politica e vedo che certe scelte europee, anche quando non sembra, sono regolarmente condizionate da questa dipendenza energetica. L’Italia deve chiedersi quante aziende italiane lavoravano in Russia, prima delle sanzioni, e quante ne sono sparite».

Riesce a vedere il Milan?

«Non tanto, ho troppo lavoro».

Ricomprare o no Balotelli?

«Non so, non conosco lo spogliatoio adesso. L’anno scorso erano messi malissimo, poi è arrivato Gattuso e le cose sono cambiate. Più grinta, un altro carattere. Ma non basta. Devono comprare qualche giocatore forte».

Ma i georgiani le rinfacciano mai quei due autogol che fece contro l’Italia, in una sola partita?

«Quelli dell’opposizione, ogni tanto ci provano. Ma per fortuna la gente se li è dimenticati. Sono passati vent’anni. E in fondo, è l’unica macchia della mia carriera».

Da calciatore. E da politico?

«Ancora non ne ho».