Lo sport dei vinti e dei vincitori

di Tommaso Labate («Sette», suppl. al «Corriere della Sera», 3 agosto 2018)

Una volta che l’avevano invitato a un mega raduno di politici e banchieri appassionati di fitness e benessere, una specie di “Cernobbio del wellness” che andava in scena al palazzetto dello sport di Cesena, Giulio Andreotti – nel declinare l’invito per ragioni di salute – decise comunque di mandare un videomessaggio.

Ph. Massimo Sestini
Ph. Massimo Sestini

Era l’autunno del 2003, per la precisione il 18 ottobre. Dodici giorni dopo, ma questo l’allora senatore a vita ed ex presidente del Consiglio non poteva saperlo, la sua condanna in secondo grado come mandante dell’omicidio di Mino Pecorelli sarebbe stata annullata dalla Corte di Cassazione, togliendogli il più grosso dei macigni dallo stomaco. In quel videomessaggio, che nonostante le tensioni di quelle settimane era carico di quell’ironia diabolica da sempre riconosciutagli da amici e avversari, Andreotti si fece beffe del sancta sanctorum del fitness politico-bancario riunito a Cesena. A cui disse: «Io mi sono sempre interessato allo sport ma non ne ho fatto mai. Non mi piace neanche camminare. È il cervello che va tenuto in esercizio. E nel mio non ho mai trovato un segno di indebolimento». Sembra passato un secolo. Distanti anni luce da quell’ortodossia dei potenti della Dc che vedevano nella pratica dello sport una sostanziale perdita di tempo (nessuno di loro, tanto per dirne una, si sarebbe mai fatto fotografare a bordo di un kayak come Matteo Salvini), i politici di oggi usano lo sport per smaltire la depressione della sconfitta. Se il potere logora chi non ce l’ha, come diceva Andreotti, allora il logoramento da perdita del potere in un modo o nell’altro va curato. E così, dopo una lunga campagna elettorale che ha visto il Pd tornare all’opposizione dopo una bruciante sconfitta, all’indomani del 4 marzo la sua classe dirigente s’è ritrovata a togliere dalla naftalina scarpette e borsoni, magliette e calzettoni. Andrea Orlando, da sempre considerato il più “vecchio” dei giovani quarantenni post-comunisti, ha scelto di praticare il caro, vecchio jogging, che oggi tutti chiamano running. «Metto la sveglia presto, mi infilo le scarpette e faccio qualche giro attorno nelle vie del centro di Roma ancora deserte», ha spiegato l’ex ministro della Giustizia agli amici dopo che il sito internet Dagospia aveva pubblicato la notizia di lui che correva all’alba da solo, «con completino bianco da far invidia ai tennisti di Wimbledon e cuffiette d’ordinanza». Sulla musica che attraversava quelle cuffiette, ci sono pochi dubbi: probabilmente una playlist densa di capolavori di Massimo Ranieri e Iva Zanicchi, i suoi cantanti preferiti. Sugli esiti dei primi allenamenti dopo anni da ministro, be’, ha spiegato Orlando, «avevo cominciato bene. Poi, ho ripreso anche a giocare a calcio e mi sono strappato…». A proposito di quelli che si sono rimessi a lucidare gli scarpini da calcio dopo anni trascorsi nella stanza dei bottoni del potere, c’è l’ex sottosegretario a Palazzo Chigi Luca Lotti, tornato a essere uno degli animatori della nazionale di calcio dei Parlamentari, allenata da Picchio De Sisti. Sotto l’occhio vigile del mister, che fu vicecampione del mondo nel 1970 e che di quella nazionale era un titolare inamovibile («Rivera e Mazzola facevano la staffetta, io giocavo sempre», racconta negli spogliatoi), il fedelissimo numero uno di Matteo Renzi ha ripreso il suo posto a centrocampo. È un mediano coi piedi buoni che agisce alle spalle di Francesco Boccia, che gioca più avanzato, con cui però nelle dinamiche di partito sono botte (metaforiche, s’intende) da orbi. Finito l’allenamento, si trovano il martedì a cena tutti insieme al ristorante Da Laganà, a pochi passi da Montecitorio, che riserva loro una saletta laterale. Per lenire gli effetti dell’insostenibile pesantezza di una sconfitta, a volte, tirar calci a un pallone, mettersi a correre o tornare quotidianamente a pedalare sulle montagne – come fece Prodi nei mesi successivi alle sue due brusche uscite da Palazzo Chigi (1998 e 2008) – non basta. Alcuni, come il deputato di Forza Italia Elio Vito, coltivano una segreta passione per lo spinning, quell’attività aerobica praticata da decine di persone che tutte insieme – mentre gli altoparlanti pompano musica a palla – pedalano forsennatamente su delle modernissime cyclette. Altri, invece, rincorrono quel variopinto bouquet di esperienze sensoriali – sauna, fanghi, bagni caldi, freddi, tiepidi, cromoterapia, musicoterapia, tè verdi, tisane di tutti i tipi – che rappresentano la penultima frontiera del relax. Penultima perché l’ultima è la “biontologia” inventata da Henri Chenot, titolare del Palace di Merano, troppo frettolosamente liquidato dai media come semplice “mago delle diete dei vip”. Da Chenot, nei giorni di fine giugno in cui a Roma Giuseppe Conte preparava il Consiglio europeo, si sono ritrovati per caso Silvio Berlusconi e Maria Elena Boschi. Il primo, un habitué, stava lì anche per una serie di cure dentistiche; la seconda, che già su Instagram aveva fatto professione di fede al dio fitness, pare abbia sposato le teorie biontologiche del titolare della struttura, che paiono decisamente antitetiche ai principi della rottamazione politica inventati da Renzi («Il termine “biontologia”», si legge nella brochure del Palace, «vuole illustrare un concetto nuovo di salute, un concetto strettamente collegato a un’evoluzione al passo con i tempi della stessa idea dell’invecchiamento»). Mettersi a fare sport è il modo migliore non solo per reagire alle sconfitte elettorali. Ma anche ai ribaltoni di Palazzo. Estromesso da Palazzo Chigi dopo la sua prima esperienza durata pochi mesi, poco prima del Natale del 1994, Silvio Berlusconi riapparve in tenuta ginnica qualche mese dopo alle Bermuda. L’immagine, celebre, ritrae l’allora capo dell’opposizione alla testa di un pacchetto di mischia composto da Fedele Confalonieri, Adriano Galliani, Carlo Bernasconi, Gianni Letta e Marcello Dell’Utri. Erano i tempi di «con Bossi non prenderò più nemmeno un caffè», i tempi del governo Dini, quelli in cui il centrosinistra preparava la riscossa elettorale che sarebbe arrivata nel 1996 con la vittoria di Prodi. Il Cavaliere, temprato dalle corsette, sarebbe ritornato al governo a braccetto con Bossi, sei anni dopo. Sei anni sono lo stesso intervallo di tempo che servirà a Massimo D’Alema per riacquistare i galloni di ministro dopo le dimissioni da presidente del Consiglio nel 2000. Anche il Lider Maximo, una volta trovatosi senza poltrona, si tuffa a braccia aperte verso il fitness. E neanche una settimana dopo aver lasciato il posto a Giuliano Amato è già iscritto in palestra, dietro suggerimento (pare) di Gianni Cuperlo, agli ordini di un personal trainer che gli fa perdere i chili in eccesso. Impresa, quest’ultima, che non riuscirà fino in fondo a Giovanni Toti, che a differenza dei personaggi di cui sopra sposa la causa wellness controvoglia. Nel gennaio del 2014, dopo averlo nominato suo consigliere politico, Berlusconi trascina l’ormai ex direttore del Tg4 a Villa Paradiso, un centro benessere extralusso che affaccia sul Lago di Garda. La dieta è di quelle ferree, tipo quella – celeberrima – del ragionier Fantozzi in montagna. Ma dopo i primi risultati – «Ho perso quattro centimetri di girovita, ne vado fiero» – Toti decise di mollare. Oggi il suo ruolo istituzionale di governatore della Liguria gli consente di partecipare a molte sagre, ed è felice. Perché esistono modi e modi di coniugare benessere e felicità dopo aver dismesso l’abito blu. Se Bill Clinton correva e Tony Blair giocava a tennis, se Giuliano Amato considerava la carica di presidente del Tennis Club di Orbetello come la più significativa del suo cursus honorum, l’ex ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, oggi senatore di Forza Italia, ha attraversato il parco del Pollino a piedi nei sentieri che centocinquant’anni fa erano attraversati solo dai briganti: dalla sponda tirrenica della Calabria a quella Ionica. Ma se si parla del connubio tra sport e politica italiana, impossibile non citare lo spettacolo che andò in scena in diretta tv davanti a milioni di italiani una sera del giugno del 1996. Allo stadio Bentegodi di Verona si sfidano la Nazionale cantanti e una Nazionale politici. Per quest’ultima scendono in campo: Pezzoli, Martini, Tajani; Casini, Veltroni, D’Antoni; Massimo Mauro, Borroni, D’Alema, Cofferati, Maroni. Subentrati nel corso della gara: Alveti, Pasetto, Gasparri, Peretti, Rizzo, Formigoni, Mastella. Risultato finale 2-2, con gol di Eros Ramazzotti, D’Alema e Maroni. Dopo quella sfida, la cosiddetta “Nazionale politici” scomparve, lasciando che le sue meteore si disperdessero nell’oceano del fitness. Dove, probabilmente, nuotano ancora.

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