Lo strano caso della Svezia che censura il libro di un comico

di Dario Ronzoni (linkiesta.it, 11 agosto 2020)

In mezzo alle polemiche per il mancato lockdown, e gli elogi per il mancato lockdown, il dibattito culturale svedese ha trovato spazio per quello che sembra un caso di censura. Per un Paese che vanta una lunga storia di libertà di opinione questa è senza dubbio una questione scottante. Al centro di tutto, il nuovo libro di Aron Flam. Attore comico di stand-up, film e televisione, autore di podcast, programmi radio, è noto nel Paese per la sua ironia tagliente e il gusto per la provocazione (soprattutto su temi come femminismo e socialismo), oltre a essere un convinto liberal in grado di vendere migliaia di copie con titoli che fanno a pezzi tabù culturali ancestrali.1_AronFlam-svensk_tigerStavolta, però, è andato oltre. Il suo Det här är en svensk tiger (Questa è una tigre svedese) ha scatenato, fin dall’uscita, nel 2019, molte polemiche. Il libro sostiene – insieme ad altre cose – che durante la Seconda guerra mondiale la Svezia non abbia tenuto una posizione neutrale. Anzi, in realtà avrebbe collaborato con la Germania nazista dall’inizio («Ancora prima che Hitler salisse al potere», spiega Flam) e fino al 1944, «quando le sorti del conflitto erano già chiare». La tesi, discutibile e discussa (molti storici di professione la respingono), ha fatto sì che le prime due edizioni del volume andassero a ruba. La terza, invece, è stata messa sotto sequestro dalla polizia perché il Museo della Prontezza Operativa Militare, un’organizzazione privata del Paese, ha fatto una denuncia per violazione dei diritti d’autore: la tigre ritratta sulla copertina sarebbe un simbolo di loro proprietà. In più, visto che è rappresentata con una svastica al braccio e una zampa alzata a mo’ di saluto nazista, costituirebbe un oltraggio alla memoria del Paese.2_svensk_tigerPer chi non lo sapesse (quasi tutti, a parte gli svedesi), il felino è un simbolo nazionale che risale ai tempi della Seconda guerra mondiale. Nel 1941, su richiesta delle autorità, venne affisso in tutto il Paese un poster che ritraeva una tigre gialla e blu (i colori della bandiera) accompagnata dallo slogan “Una tigre svedese”. La frase giocava sulla parola “tiger”, che in svedese significa anche “stare zitto”. Il messaggio, quasi cifrato, era chiaro: il bravo cittadino tiene la bocca chiusa. A quei tempi, il messaggio era piuttosto diffuso. Gli inviti al silenzio, durante una guerra, abbondano: negli Stati Uniti si diceva “Loose lips sink ship” (Le labbra non serrate fanno affondare le navi), mentre in Italia “Tacete! Il nemico vi ascolta” è rimasto nella cultura popolare. Per le parti coinvolte, il rischio di rivelare segreti a spie nascoste era un fatto concreto. Ma perché mai, si chiede il comico, la neutrale Svezia doveva tenere la bocca chiusa? Il sospetto si fa strada e prende la forma della copertina. «Ho modificato l’immagine originale, è una parodia», ha aggiunto, una battuta che si capisce leggendo la tesi del libro. La tigre è nazista e «gli svedesi hanno saputo benissimo tenere la bocca chiusa», spiega. Cioè non hanno raccontato a nessuno del passato collaborazionista con la Germania di Hitler. Sul punto, si esprimeranno gli storici. Sulla violazione dei diritti, invece, dopo la denuncia e l’intervento della polizia, dovrà decidere il tribunale distrettuale di Stoccolma a settembre.3_svensk_tiger_coverMa la questione è già diventata oggetto di dibattito: giuristi e giornalisti del Paese si dicono sorpresi (e insospettiti) da tanta alacrità, trovano «eccessive» le misure prese finora e c’è il timore che, com’è accaduto con i libri in uscita su Trump in America, i cavilli legali siano solo un pretesto per non parlare di certe cose. Una forma non ufficiale di censura che, secondo Flam, mira a proteggere, da un lato, l’immagine della Svezia e, dall’altro, quella del partito al potere. «Che è lo stesso di allora», quando guidava un governo di unità nazionale. Oggi i social-democratici hanno riaffermato, com’è giusto, il loro impegno nel combattere l’antisemitismo sotto ogni forma, ma i dubbi sul passato sono ancora da dipanare. Forse il libro potrebbe essere una buona occasione, un passo in avanti per il dibattito storico, che può fare i conti con i sospetti risvegliati da Flam e iniziare una riflessione sul passato del Paese. Oppure, se si dimostrassero infondati, con la forza dei dati e delle ricerche li si può mettere a tacere (pun not intended) una volta per tutte.