Mezzo secolo fa la “battaglia dei sessi”: il match più visto della storia del tennis

di Stefano Semeraro (lastampa.it, 19 settembre 2023)

Domani sono 50 anni esatti dalla “battaglia dei sessi”, l’esibizione – ma qualcuno la chiamerebbe stangata – che all’Astrodrome di Houston, davanti a quasi 30mila spettatori e 30 milioni di americani collegati via tv, mise di fronte Billie Jean King e il più grande volpone che abbia mai calcato un campo da tennis, Bobby Riggs.

Bettmann – Getty Images

All’evento è stato anche dedicato un film gradevole, ma un filo agiografico, interpretato da Steve Carell ed Emma Stone [La battaglia dei sessi (Battle of the Sexes), di Jonathan Dayton e Valerie Faris, GB-USA, 2017 – N.d.C.]. Billie Jean, che oggi negli Stati Uniti è un monumento intoccabile, una diva che parla con i presidenti e a cui è intitolato il National Tennis Center di Flushing Meadows, dove si giocano gli Us Open, batté 6-4 6-3 6-3 il 55enne Riggs nel match più visto della storia del tennis. Un evento, come si dice oggi, e il primo mattone di una lunga lotta per la parità. Se Coco Gauff oggi può contare sugli stessi montepremi di Novak Djokovic lo deve anche a quel risultato.

Peccato resti il sospetto che il match fosse truccato, come in molti hanno sempre sospettato e come Hal Shaw, ex istruttore al Palma Ceia Golf and Country Club di Tampa Bay, in Florida, ha spiattellato alla Espn qualche anno fa. «Ero là la sera che Frank Ragano, Santo Trafficante Jr. e Carlos Marcello [avvocati di Cosa Nostra – N.d.R.] incontrarono Riggs. Lui promise che avrebbe perso volontariamente il match se la Mafia gli avesse condonato 100mila dollari di debiti di gioco». Perché non dirlo subito? «Perché avevo paura», ha ammesso Shaw. Chi non crede alla combine cita il fatto che se avesse vinto Riggs avrebbe avuto la chance di battersi contro Chris Evert, allora 18enne campionessa destinata l’anno seguente a diventare la numero 1 del mondo.

Prima e dopo quella sfida ci sono state parecchie altre occasioni di confronto fra uomini e donne su un campo da tennis. Ne citiamo qualcuna: nel 1888 Ernest Renshaw, precursore di Riggs nella comune passione per le scommesse, batté in 3 set Lottie Dod (2-6 7-5 7-5) concedendole però un vantaggio di 0-30 ad ogni game (Lottie poi perse anche con Harry Grove e il fratello di Ernest, William). Nel 1922 Bill Tilden rifilò senza pietà un 6-0 alla sua amica Suzanne Lenglen. Helen Wills Moody, la grande avversaria della Lenglen, vinse un paio di match contro tennisti che però vantavano un curriculum solo di livello universitario. Nel 1992, nella più seria imitazione del match del ’73, il 41enne Jimmy Connors batté Martina Navratilova 7-5 6-2 al Caesar’s Palace di Las Vegas (e Connors aveva solo un servizio, mentre Martina poteva usare anche i corridoi del doppio). L’originale, però, rimane insieme l’alfa e l’omega del genere.

Billie Jean all’epoca aveva 30 anni, 2 mesi prima aveva fondato il sindacato delle giocatrici che ancora oggi regge il circuito mondiale. Era già una delle più grandi personalità nella storia del tennis, vincitrice di 12 tornei dello Slam, lesbica e paladina delle lotte contro ogni tipo di discriminazione, soprattutto del maschilismo nello sport. Bobby invece era un ex campione di 55 anni, famoso per la sua passione per le scommesse. Di ogni tipo. «Ricordo di quando ero davvero piccolo» scrisse nella sua autobiografia, genialmente intitolata Tennis is my Racket «e non facevo che pregare i miei fratelli di portarmi con loro alla partita di baseball a Los Angeles. Loro se ne vennero fuori con l’idea di farmi correre contro il ragazzino che viveva accanto a noi. Se avessi vinto, sarei andato con loro. Se avessi perso, mi avrebbero spedito a casa. Io, potete scommetterci, corsi più forte che potevo».

La prima vera racchetta se la guadagnò strappandola, per scommessa, al cane di un pensionato, e quando negli anni Trenta iniziò a vincere davvero, all’ombra del suo grande rivale Donald Budge, la federazione americana fece di tutto per squalificarlo. Allora i dilettanti potevano incassare solo rimborsi spese, attorno a Riggs invece circolava un tipo losco, Jack Del Valle, che arrivava al Los Angeles Tennis Club su una Cadillac cromata e si piazzava in tribuna, sussurrando quote. Bobby vinceva, e incassava. Riggs divenne amico di milionari come Edmund C. Lynch – sì, quello della Merrill-Lynch – che lo ammiravano e gli procuravano lavori ben retribuiti ma vietati a un dilettante.

Nel ’39, con la Wehrmacht che già bruciava la Polonia, giocò per la prima e ultima volta a Wimbledon. Alla vigilia del torneo scommise 500 dollari – una enormità – su sé stesso vincitore in singolare, doppio e doppio misto, un’impresa mai riuscita a nessuno. Lo davano 6 a 1, ma ce la fece. Poi strinse la mano alla Regina Mary, ritirò dai bookmaker 108mila dollari, 1 milione e mezzo di oggi, e li depositò in una banca della City per evitare guai col fisco e con la federazione yankee. «Durante la Battaglia d’Inghilterra sudai freddo: nessuno sperò come me che la Raf impedisse l’invasione tedesca». Dopo la guerra passò a ritirare il malloppo, con gli interessi.

Una volta appesa la racchetta al chiodo, Riggs si trasformò in (cinico) organizzatore. Alle tenniste che ingaggiava tagliava di nascosto le mutandine con un rasoio: «Quando sei davanti ai fotografi» disse una volta alla procace Gussie Moran, «chinati un po’, tesoro». Il tipico “male chauvinist pig”, il “maiale maschilista” odiato da tutte le femministe. Giocava anche ad handicap, contro tennisti della domenica di 30 anni più giovani di lui. Il suo repertorio era vasto ed esilarante: poteva vincere un match vestito da donna e con 4 sedie sulla sua metà campo, con una valigia nella sinistra, indossando impermeabile e galosce, o anche trascinandosi un cane al guinzaglio. «Il difficile» spiegava «è quando il cane non è addomesticato».

Nel 1973 montò benissimo il suo colpo migliore, la “battaglia dei sessi”. Prima convinse l’australiana Margaret Court a sfidarlo, liquidandola facilmente, poi nel match clou di Houston, con i bookmaker che lo davano favorito 5 a 2, si fece umiliare dalla King, di cui poi diventò a sorpresa amicissimo. «La storia della combine è falsa» sostiene da sempre Billie Jean, «Bobby non avrebbe mai perso di proposito quel match». Sarà. Ma non ci scommetteremmo troppo.