Nino Benvenuti, agente segreto per il “Carosello” delle spie vere

di Michele Bovi (huffingtonpost.it, 13 giugno 2021)

Che manrovesci mollava quella spia già nel 1965, provvidenzialmente destinata a diventare soltanto due anni dopo campione del mondo di pugilato! Già, perché era Nino Benvenuti a dare volto e corpo – non la voce, prestata da un doppiatore professionista – all’Agente 00SIS (Zero-Zero-Sis), il fascinoso e brillante protagonista della serie di Carosello del Cavallino Rosso, il brandy italiano che negli anni Cinquanta e Sessanta competeva con il bolognese Vecchia Romagna e il triestino Stock 84 per il titolo di leader dei liquori forti nazionali. Sis, l’azienda produttrice del Cavallino Rosso, nonostante il soggetto televisivo, non era acronimo di Servizio Informazioni Segrete (come gli apparati italiani di Marina e Aeronautica nella seconda guerra mondiale).

NinoBenvenuti_Agente00SISNé di Secret Intelligence Service (meglio noto come Mi6, l’agenzia di spionaggio per l’estero del Regno Unito). Bensì della più innocente e popolare etichetta Società Italiana Spiriti, liquorificio fondato ad Asti già nel 1849. Eppure l’aggancio con il ruolo interpretato da Benvenuti c’era tutto. La Sis, infatti, da metà anni Cinquanta al 1967, fu di proprietà del Servizio Segreto Militare italiano, come per primo rivelò nel 2009 lo storico Aldo Giannuli nel suo Come funzionano i servizi segreti (Adriano Salani Editore), con la conferma di Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia (Sperling & Kupfer, 2010).

Il precedente di Mussolini

L’etichetta di un’azienda produttrice di alcolici come copertura per un’agenzia di intelligence non rappresentava nemmeno una novità. Infatti, come ha raccontato Domenico Vecchioni in Le spie del duce (Edizioni del Capricorno, 2020), nel 1927 Arturo Bocchini, capo della polizia di Benito Mussolini, all’interno della Direzione generale di pubblica sicurezza aveva istituito un Ispettorato speciale di polizia affidato a Francesco Nudi, descritto dai colleghi come “un funzionario molto preparato, meticoloso, correttissimo, buon conoscitore delle ideologie e dei metodi comunisti”: per tre anni nessuno si accorse di quel nuovo organismo, formato da agenti molto abili, ben preparati e ben pagati, un servizio agile, autonomo e dotato di consistenti mezzi finanziari, che aveva la sua sede principale a Milano sotto la copertura di Anonima Vinicola Meridionale. Rispetto a quella prima esperienza, la Sis dimostrò in aggiunta notevoli capacità imprenditoriali visto il successo dei prodotti. I nuovi padroni della Sis mantennero la sede astigiana originaria, pur trasferendo il quartier generale operativo al civico 2 di Largo Isarco, nella zona Sud di Milano, rilevando l’area di Distillerie Italiane, la stessa che dal 2015 ospita la fondazione Prada, e contemporaneamente designando l’ufficio di direzione a Roma, al numero 33 di Piazza S. Apollinare.

L’azienda astigiana aveva da tempo conquistato il mercato dei liquori con una serie di proposte rinomate: dalla Grappa Barolo all’Elixir Moka, dall’Anisetta al Triple Sec, dalla Prunella alla Crema Caffè. Il colpo magistrale arrivò proprio con la nuova proprietà. Nel 1957, tra tutti i prodotti di casa, la Sis stabilì la priorità del già popolare Old Brandy, versione piemontese del cognac francese, da quel momento invariabilmente abbinato al marchio Cavallino Rosso – disegnato nel 1953 dal grafico Severo Pozzati – subito, sostenuto da un percussivo lancio promozionale, con manifesti, inserzioni su quotidiani e periodici, un merchandising azzeccato come quel cavallino rosso con la criniera e la coda bianche, gadget in plastica e in pannolenci che l’acquirente riceveva in omaggio con la bottiglia: giocattolo per i bimbi, cimelio per i collezionisti.

Al tempo dell’ingaggio della Sis, il Servizio informazioni forze armate era diretto dal generale Giovanni de Lorenzo, avvicendato nell’ottobre del 1962 dal generale Egidio Viggiani. Alla crescente affermazione del Cavallino Rosso si contrapponeva nella prima metà degli anni Sessanta la crisi d’immagine del Sifar, afflitto da cronache di fascicolature proibite e da narrazioni di smanie di golpe. Così tra il 1964 e il 1965, sotto la direzione Viggiani, maturò l’iniziativa di emulare l’operazione James Bond per riabilitare la figura dell’agente segreto italiano. Il trionfo cinematografico della creatura di Ian Fleming era d’altronde anche servita a sbiadire il ricordo dei due giovani diplomatici inglesi sospettati di essere spie sovietiche, fuggiti nel 1951 all’Est: si disse che Guy Burgess e Donald McLean erano stati ricattati perché omosessuali e così convinti, a fronte di prove fotografiche e filmate di convegni scabrosi, a tradire il proprio Paese. La spia portata sullo schermo nel 1962 da Sean Connery aveva ben altre caratteristiche: aitante, sagace e irresistibile sia come lottatore sia come seduttore di femmine fatali. E rigorosamente anticomunista.

L’indomabile agente tra Sifar e Sid

Il più trascinante veicolo pubblicitario dell’epoca era indubbiamente Carosello, il programma televisivo della Rai inaugurato nel 1957. La Sis escogitò una campagna di réclame – come si diceva a quei tempi – a duplice bersaglio: promuovere il brandy di casa e, parallelamente, rendere più attraente e amabile l’immagine degli addetti all’intelligence. Così nacque l’Agente Zero-Zero-Sis, che una voce fuoricampo descriveva come “l’uomo che travolge gli ostacoli, che sfida il pericolo, inafferrabile, sconvolgente, indomabile dagli uomini e dalle donne”. La scelta dell’interprete cadde su Nino Benvenuti, già stella internazionale del pugilato, ma ancora distante dallo storico match del 17 aprile 1967 al Madison Square Garden di New York in cui avrebbe strappato a Emile Griffith il titolo di campione del mondo dei pesi medi, entrando nella leggenda della boxe.

Nel novembre del 1965 Benvenuti girò cinque filmati per Carosello che andarono in onda, con la replica di uno degli episodi, tra gennaio e febbraio del 1966. Da notare che in quello stesso periodo si esauriva l’esistenza del Sifar – alla cui guida era subentrato nel giugno del 1965 il generale Giovanni Allavena –, sostituito dal Servizio Informazioni Difesa con decreto del 18 novembre 1965 del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (il Sid entrò in funzione il 1° luglio 1966, diretto dall’ammiraglio Eugenio Henke). Il Servizio Segreto Militare assistette dunque al battesimo di Nino Benvenuti nella funzione di attore con la realizzazione dei filmati affidata alla Cinetelevisione, l’azienda milanese del produttore Pino Peserico e del regista Attilio Vassallo, due superesperti di Carosello. Partner femminile di Benvenuti era l’avvenente ma anonima attrice tedesca Bruna Pfeifer. I cento secondi del filmato – visibili nel sito web dell’Aibm Project di Luigi Manzo – apparivano ricchi di riferimenti simbolici: i cappucci neri dei cattivi, corde con nodi particolari, forconi a quattro denti. E ovviamente la vittoria finale premiava il vigoroso agente, che anche nella realtà si rivelava coerente con l’anticomunismo di James Bond: il pugile, nel 1964, era stato testimonial del Movimento Sociale Italiano.

“Ero l’agente speciale con licenza di… bere: smoking, pistola, ovviamente pugni, per sbaragliare bande di nemici che al termine di ogni episodio finivano a bagno, in una piscina”, racconta oggi Nino Benvenuti. “Gli studi di registrazione erano alla periferia di Milano, ricordo il regista, l’operatore e i dirigenti della Sis molto cordiali, che vennero a salutarmi. Tutti in abiti civili, all’epoca non feci caso se avessero un portamento militare, tantomeno sospettai fossero agenti segreti. Fu un divertente intermezzo nell’attività di atleta, ma nel mio entourage non tutti si mostrarono favorevoli alla scelta: ritenevano che la distrazione potesse nuocere al mio impegno agonistico e alla mia stessa immagine. Era la rigida retorica di quel periodo, pure se gli anni Sessanta finirono per rivoluzionare costume e morale vigenti. Comunque io colsi Carosello come un’esperienza positiva. Anche perché, per dirla tutta, il compenso fu molto soddisfacente”.

Ma ancora prima del Carosello di Benvenuti la Sis sembrava aver lanciato tramite il Cavallino Rosso surrettizi messaggi di fratellanza ai due principali alleati del Patto Atlantico. Il motivo musicale che nelle pubblicità radiotelevisive caratterizzò indelebilmente il prodotto – “Il brandy per me, il brandy per te / ta-ta-ta-tà / è il Cavallino Rosso” – era stato mutuato da Deep in the Heart of Texas, brano inciso nel 1942 da crooner di punta come Perry Como e Bing Crosby, che risultò il più cantato dalle truppe americane durante il secondo conflitto mondiale. La canzone diventò famosissima anche in Gran Bretagna, al punto che la radio di Stato Bbc fu costretta a proibirne la diffusione perché gli operai nelle fabbriche interrompevano il lavoro per accompagnare con il battere delle mani il ta-ta-ta-tà della melodia.

Il Riscatto di Cosa Nostra

In coda ai filmati interpretati da Nino Benvenuti, brillava un’altra perla: dopo la sigletta ta-ta-ta-tà sbucava un’attrice in kilt e berretto piumato che parafrasava il titolo della pellicola più in voga del momento (Agente 007, dalla Russia con amore) per proporre: “… e dalla Scozia con ardore il whisky King’s Ransom”. A differenza degli altri alcolici della Sis, il liquore scozzese non riuscì a conquistare i nostri bar, forse perché quel “King’s Ransom” (Riscatto del re) era difficile da pronunciare per gli italiani. Ma era uno scotch che vantava padrini di singolare rispetto; la miscela e il marchio King’s Ransom, creati nel 1928 dal barman scozzese William Whiteley, erano nel 1941 passati di proprietà a due americani: Irving Haim, il più affermato distributore di liquori statunitense, e Frank Costello, capo di Cosa Nostra.

Nei depositi della Sis non circolavano soltanto bottiglie con le etichette di Paesi alleati. L’azienda professava evidentemente un approccio commerciale a carattere internazionale, immettendo sul mercato italiano fusioni di distillati fino ad allora estranee ai palati nostrani: come la Slivowitz, un’acquavite tradizionale dei Balcani, o il Kummel, liquore all’epoca prodotto soltanto in Germania e in Russia, o il rum Montego, che la Sis importava direttamente dalla Giamaica. Con operazioni, alleanze e risultati davvero sorprendenti, come quando con le autorità sovietiche la Sis riuscì a combinare l’esclusiva per l’Italia della vodka Moskovskaya.

Il cavaliere dei cinematografi

Al di là dei servizi segreti, chi erano i dirigenti ufficiali e operativi della commercializzazione della Sis? Essenzialmente uno: Bruno Pazzi, dal 1946 amministratore delegato dell’azienda, e dal 1959 presidente, pur conservandone la carica di amministratore delegato. Il manager era nato ad Avezzano nel 1912. Negli anni Trenta era stato assunto da Serafino Cevasco in Eridania Zuccherifici Nazionali e collocato in una società controllata dal gruppo: la Distillerie Italiane, nata come stabilimento di produzione di propellenti per usi bellici e successivamente di diversi prodotti chimici. Chiamato a dirigere la Sis, Bruno Pazzi ricoprì contemporaneamente, fino alla scadenza degli anni Sessanta, tutte le più prestigiose cariche del settore, da presidente dell’Associazione nazionale distillatori a presidente dell’Istituto del brandy italiano e della Federvini. Amministrò stabilimenti della Sis in Puglia (a Galatina e a Barletta) e progettò un grandioso complesso da costruire in Sicilia, nella provincia di Siracusa, per la produzione di alcol da carrube.

Senza peraltro mai perdere di vista, e di controllo, la sua primigenia passione: il circuito dei cinematografi. Tra un liquore e un Carosello, Pazzi trovò infatti modo e tempo per fare il vicepresidente dell’Associazione Nazionale Esercenti Cinema e l’amministratore della Compagnia Italiana Attualità Cinematografiche. Versatile e dotato di una simpatia contagiosa, nonostante le frequentazioni negli ambienti dello spettacolo preferì sempre mantenere un profilo misurato. La sua splendida abitazione in stile Liberty, il Villino Giulia, settecentotrentacinque metri quadrati su tre piani, incastonata nel luogo più bello del mondo, la scalinata di Trinità dei Monti che guarda Piazza di Spagna, divenne crocevia di personalità della politica e dello spettacolo soltanto quando la cedette, nel 1959, all’amico Renato Angiolillo, fondatore e direttore del quotidiano romano Il Tempo. Con Angiolillo, che fu anche politico e produttore cinematografico, Pazzi condivideva la passione per il grande schermo e per l’ippica, ispirazione probabile del suo cavallino campione del brandy.

Pupillo di Giulio Andreotti

La condivisione del Servizio Segreto Militare alle attività di Sis e consociata Distillerie Italiane coincise con l’incarico di ministro della Difesa di Paolo Emilio Taviani (dal 1954 al 1958), seguito brevemente da Antonio Segni (dal luglio 1958 al febbraio 1959) per toccare il culmine dei tornaconti sotto la gestione di Giulio Andreotti, ininterrottamente ministro della Difesa dal 16 febbraio 1959 al 24 febbraio 1966. Andreotti fu evidente estimatore di Bruno Pazzi, tanto che soltanto quattro mesi dopo aver lasciato il ministero della Difesa per passare alla guida dell’Industria e del Commercio, l’uomo politico volle consegnare personalmente al suo pupillo le insegne di cavaliere del lavoro.

Terminata quella fase, con il nuovo ordinamento dello Stato maggiore della Difesa voluto dal subentrato ministro socialdemocratico Roberto Tremelloni, Sis e Distillerie Italiane cambiarono proprietario tornando nell’originario pacchetto Eridania, acquisito nel dicembre del 1966 dal petroliere Attilio Monti. Va detto che, al momento della cessione, la Sis era un’azienda florida: tra le maggiori distillerie italiane, produceva tre milioni di bottiglie di liquori l’anno, con trecento dipendenti, due stabilimenti ad Asti e la gestione della storica industria Confetture Alimentari Ligure Lombarda di Voghera, mamma della marmellata italiana. Sei anni dopo, la crisi del petrolio costrinse Monti a cedere alcune delle sue aziende; tra queste la Sis, che finì alla Cadbury-Schweppes, colosso inglese dell’alimentazione.

Bruno Pazzi lasciò le distillerie per occuparsi esclusivamente di cinematografi, attraverso incarichi di vertice sia nell’Anec (Associazione Nazionale Esercenti), sia nell’Agis (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo), con inoltre un’appendice teatrale manifestata con l’acquisto e la personale cura della programmazione del Teatro Brancaccio di Roma. Sua figlia Marcella sposò Paolo Ferrari, altro eminente manager della cinematografia, già nel 1957 dirigente della Metro-Goldwyn-Mayer, chiamato successivamente ad amministrare la Columbia Pictures e poi la Warner Bros, di cui divenne nel 2007 presidente e amministratore delegato per l’Italia, per poi insediarsi alla presidenza del Sistema Cultura Italia (federazione che fa capo a Confindustria e che riunisce le associazioni delle imprese editoriali, discografiche e multimediali).

Le cineprese di Federico Umberto D’Amato

Il vincolo appassionato di Bruno Pazzi con il cinema durò fino al 1978, quando il presidente del Consiglio Giulio Andreotti lo innestò nella commissione della Consob, l’organo di controllo della Borsa. Nel settembre del 1990, con Andreotti nuovamente capo del governo, Bruno Pazzi ottenne la presidenza della Consob, succedendo a Franco Piga (del quale era stato per quattro anni il vice), nominato ministro delle Partecipazioni Statali. Pazzi lasciò la Consob nel novembre del 1991. Due anni dopo, ottantunenne, riuscì per limiti d’età a evitare il carcere: i magistrati Antonio Di Pietro e Francesco Greco ordinarono per lui gli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta Enimont, con un’accusa di corruzione che non fu mai confermata; la prescrizione eluse il processo. Erano lontani i tempi gai di Carosello e dell’Agente 00SIS. Non c’è prova tra l’altro che Pazzi fosse consapevole dell’attività di intelligence dei soci. Un abbinamento, comunque, non del tutto originale perfino per quell’epoca. C’era stato, infatti, un precedente. Come rivela ancora lo storico Aldo Giannuli (La guerra fredda delle spie, libro supplemento a l’Unità, 2005), fu il prefetto Federico Umberto D’Amato, l’agente segreto più famoso del dopoguerra, a raccontare di aver creato nel 1957 “una piccola società cinematografica con la quale mi diedi a produrre con buon risultato i primi Caroselli della tv”. Anche se appare un paradosso per un ambiente votato alla riservatezza, sembra proprio che alle spie piacesse immensamente la pubblicità.