Quando Billy Wilder tentò di intervistare Freud su Mussolini

di Giacomo Galanti (huffingtonpost.it, 18 ottobre 2021)

Difficile dimenticare il reporter senza scrupoli interpretato da Kirk Douglas ne L’asso nella manica [Ace in the hole, 1951] che, pur di portare a casa lo scoop, rallenta il salvataggio di un uomo intrappolato in una caverna. Lo stesso vale per il demi-monde dei giornalisti-paparazzi di Viale del tramonto [Sunset Boulevard, 1950], fino a Prima pagina [The front page, 1974] con il duo Jack Lemmon e Walter Matthau. Tutti e tre i film portano la firma di Billy Wilder, che di giornalismo e di giornalisti se ne intendeva. Il celebre regista, cresciuto e formatosi tra Vienna e Berlino, prima di espatriare negli Stati Uniti a metà degli anni Trenta si era infatti fatto notare come cronista di livello.

Wilder, nelle tante biografie e interviste, non ha mai lesinato aneddoti sul suo periodo giovanile al servizio dei giornali. Uno, in particolare, è degno di essere ricordato. Nel 1925 (o 1926) il futuro regista viene incaricato dal Die Stunde di Vienna di sentire alcuni intellettuali austriaci per sapere cosa ne pensino del fascismo e di Benito Mussolini. Wilder parla con lo psicologo Alfred Adler, lo scrittore Arthur Schnitzler e il compositore Richard Strauss. Per chiudere il pezzo a Wilder manca Sigmund Freud, che detesta i giornalisti che – a loro volta – non perdono occasione per prenderlo in giro. Il giovane giornalista va dunque al civico 19 di Berggasse, zona medio-borghese di Vienna dove si trova lo studio del celebre psicanalista.

Ad aprirgli, una cameriera: “Il professore sta pranzando”. Wilder decide di aspettarlo e viene fatto accomodare nel salone di casa Freud che allora, come spiegherà lo stesso regista in un’intervista a Cameron Crowe, fungeva anche da sala d’attesa perché nella Mitteleuropa i medici erano soliti ricevere a casa. Wilder si mette a curiosare e intravede in fondo alla sala lo studio di Freud, rimanendo colpito dal divano minuscolo in cui il medico faceva sedere i pazienti. Nel frattempo gli si para davanti Freud in persona, con ancora il tovagliolo bianco al collo per il pranzo, che gli chiede: “Lei è un giornalista?”. Alla risposta affermativa, Freud indica la porta al cronista del Die Stunde. Il futuro regista prova a insistere, ma lo psicanalista è irremovibile. L’intervista nemmeno comincia. Ma Wilder la ricorderà, parole sue, come uno “dei momenti epocali della mia carriera”.