Vitalizio party

di Salvatore Merlo (ilfoglio.it, 12 luglio 2018)

Roma – Li tratta come dei babbei, anche lievemente svantaggiati sotto il profilo intellettuale. Quindi si rivolge ai deputati del Movimento Cinque Stelle, che poco alla volta raggiungono lui e il resto dello staff in vicolo Valdina, a due passi da Montecitorio. «Mi raccomando ragazzi», dice loro, «ricordate che è il giorno più importante della legislatura. Quindi dimostrate entusiasmo. Tra poco aboliremo i vitalizi. Fate dei video e postateli su Facebook».

LaPresse
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E allora Rocco Casalino saltella di qua e di là, mentre una cinquantina di parlamentari entra sulla piazza, proprio di fronte alla Camera, con palloncini e bottiglie di spumante, nel giorno in cui l’ufficio di presidenza approva una delibera per ricalcolare gli assegni di 1.240 ex deputati con un’età media di 76,5 anni (risparmio previsto: 40 milioni di euro). «Spero che con un po’ di quei soldi si possano comprare dei libri, anche solo dei bignami di Diritto Costituzionale da far leggere ai Cinque Stelle», sorride Angiolo Bandinelli, novantun anni, lui che fu parlamentare con i Radicali nella X legislatura. «Del taglio uno se ne può fare anche una ragione, prenderò 900 euro invece di 2.500. Ma c’è un clima orrendo. Da resa dei conti». E infatti è così che a un certo punto, Casalino, cioè il portavoce del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, si rivolge a chi scrive: «Adesso che il Foglio chiude, che fai? Mi dici a che serve il Foglio? Perché esiste?». Luigi Di Maio, trentadue anni, dice che «questo giorno era atteso da sessant’anni». E insomma i Cinque Stelle festeggiano sotto la regia del loro poderoso ufficio propaganda e comunicazione («amore, amore», urla Rocco a un deputato, battendo le mani, «tienilo più in alto quel palloncino!»), ma in realtà il clima è plumbeo. «Tagliano i vitalizi ai novantenni come me, e quindi? E allora? A che serve? Non serve a niente. È solo un’altra piccola mazzata all’istituto parlamentare», dice Bandinelli, con un sospiro evocativo, quasi un singhiozzo. Intanto, nell’Aula esangue di Montecitorio, il sottosegretario alla Giustizia, il Cinque Stelle Vittorio Ferraresi, dopo aver balbettato delle parole incomprensibili, replica all’opposizione su una controversa questione che riguarda il tribunale di Bari, e dice testualmente, rivolto all’Aula del Parlamento, capovolgendo i fondamentali della Costituzione repubblicana: «Ho sentito qui pronunciare inesattezze gravi, inesattezze che hanno anche rilievo penale». Come se si potesse sindacare, per via giudiziaria, quello che avviene in un’aula di Parlamento, e nell’esercizio delle sue funzioni. «Quello che sta succedendo è anche colpa nostra», dice Dario Franceschini, mentre attraversa uno spento corridoio della Camera, il palazzo che s’infiamma di vita soltanto quando un deputato della Lega e uno di Fratelli d’Italia per poco non vengono alle mani. Nel vischioso e impolitico acquitrino dell’emotività collettiva, la voce della civiltà è un birignao infantile. «E questi vogliono pure introdurre il vincolo di mandato, che sarebbe il colpo di grazia alla democrazia rappresentativa», dice Bandinelli, rievocando il suo amico Pannella. «Marco diceva sempre che il parlamentare non rappresenta i suoi elettori, ma addirittura la nazione. Pensa un po’. Ho letto che equiparano i parlamentari a degli impiegati dello Stato. Ma il vitalizio non è una pensione. È un istituto che fu immaginato a tutela dell’indipendenza dei parlamentari. Dicono che mi devo vergognare? E di cosa? A chi ho rubato? Entravo a Montecitorio alle 8 del mattino e uscivo alle 21, concedendomi ogni tanto un gelato da Giolitti. Cosa che adesso, a novant’anni passati, incollato al letto come sono, mi sembra un ricordo bellissimo». Sulla piazza i deputati del Movimento stanno stappando delle bottiglie di spumante, e su Facebook c’è persino Virginia Raggi che fa ciao ciao con la manina: «bye bye vitalizi». Ecco Riccardo Fraccaro, il ministro della democrazia diretta. Baci, abbracci, «finalmente!», «evvai!», «hip hip urrà». Rocco è molto attento a che le telecamere inquadrino bene la scena, dirige come a teatro, come al cinema, o forse a un matrimonio. È il wedding planner. Vorrebbe che i protagonisti fossero i deputati, «i ragazzi», ma inevitabilmente, urlando e zampettando, finisce per diventare lui stesso l’attrazione più forte. «Si vede? Si vedeee? Tirate su la scritta, forza. Su la scritta, forzaaaa!». A un certo punto è preoccupato che Di Maio possa non arrivare in tempo, allora chiede: «Ma un ministro può lasciare la commissione dov’è in audizione? No? E perché no? Uff». Che noia il Parlamento, con le sue discussioni, le sue regole, i suoi vitalizi. Fastidioso «come certi giornali, ma non il Foglio che non conta nulla… Perché esiste?». Molto meglio il Grande fratello. E ormai ci siamo.