di Guia Soncini (linkiesta.it, 7 settembre 2022)
Cominciamo dalla mia grande preparazione in fatto di politica estera: fino a sei domeniche fa non avevo mai sentito nominare Liz Truss, che da lunedì è il nuovo capo dei conservatori inglesi, e quindi il loro nuovo primo ministro. Cominciamo dal mio approccio per niente superficiale alla politica: quando a fine luglio ho ritagliato quell’articolo su Liz Truss volevo vedere che faccia avesse, e cercandone le foto d’archivio la prima cosa che ho notato è quanti colori di capelli avesse cambiato. Ho pensato: ah, un altro caso Hillary Clinton. Se eravate vive negli anni Novanta ve ne ricorderete: i giornali pubblicavano pagine di foto coi cambiamenti di pettinatura di Hillary; se eravate vivi negli anni Novanta non ve ne sarete accorti: erano cambiamenti troppo impercettibili per lo sguardo maschile.
L’articolo l’aveva scritto Camilla Long, e il titolo lo possiamo liberamente tradurre con Certi insulti si usano solo con le donne, quindi non è sorprendente sentire che Truss è matta come un cavallo. Normalmente è il tipo di articolo per cui alzerei gli occhi al cielo (non è mai solo-alle-donne, così come non è mai solo-in-Italia), ma Long è una delle più intelligenti editorialiste inglesi, e quindi me lo sono messo da parte, tanto il tema torna sempre. È tornato la settimana scorsa, col surreale dibattito su Giorgia Meloni: può una leadership essere femminile e non essere femminista? Mentre le cancellettiste si scaldavano tantissimo, io mi chiedevo di cosa stessero parlando. Che significa «femminista»? Femminista, per quel che ne so, è chi crede che le donne debbano avere gli stessi diritti degli uomini. C’è, nel 2022, qualcuno che di mestiere non faccia l’ayatollah e metta in dubbio questa ovvietà? Conquistati quei diritti che in Occidente sono abbastanza scontati – quello di lavorare, quello di votare, quello di guidare la macchina, quello di non preparare la cena, quello di divorziare, e ognuna aggiunga quello cui più tiene –, l’indicibile verità è che avanza una sola questione che crea una voragine di distanza tra gli uomini e le donne.
Qualche giorno fa è comparso un video di Samantha Cristoforetti che spiegava una cosa che non sapevo (saltate questo capoverso se siete schifiltosi, a me vengono i conati mentre lo scrivo). Nello spazio gli astronauti non si portano le casse di Evian, ma bevono la loro urina filtrata e purificata con dei sistemi chimici perfezionatissimi. Sistemi che però vanno in tilt se, nell’urina, ci sono tracce di sangue. Il che ci conferma che avere le mestruazioni è un tale handicap che ti crea delle difficoltà persino se fai l’astronauta e hai tutta la tecnologia mai inventata dagli umani a tua disposizione. La vera disparità tra uomini e donne è il corpo. Lo slogan per cui prendiamo da anni per il culo la Meloni – quello in cui è Giorgia, è cristiana, è una madre – fa leva su quell’ovvietà lì: è una donna una che ha un corpo potenzialmente capace di gestazione. Certo che può scegliere di non fare figli, certo che possono esistere anomalie per cui non può invece scegliere di farli, ma quella roba lì è una donna: un mammifero umano adulto che produce uova.
Esaurite tutte le richieste di base – il diritto di voto e tutto quanto elencato più sopra –, il sedicente femminismo contemporaneo ha quindi deciso di concentrarsi sulla parodia: io, tizio con la barba e il pisello, mi sento donna, quindi lo sono. Il che può anche andare bene, come speculazione intellettuale. Se vuoi che usi «lei» per parlare di te, tizio con la barba e il pisello, posso fare questo sforzo. Posso farlo per un bambino che mi dica che è Batman, per un adulto che mi dica che è Napoleone, per un lui che mi dica che è una lei. Giochiamo che io ero napoletano e tu, Asdrubale, eri Maria Concetta. Però ci sono situazioni in cui non vale la speculazione intellettuale, la sensibilità personale, il diritto a percepirsi come un supereroe o una pianta o un mammifero adulto che produce uova. Ci sono situazioni in cui conta solo il corpo: le gare sportive; le celle del carcere; gli spogliatoi. Se il corpo non conta, giacché sei donna o uomo non per i gameti che hai ma per la tua sensibilità rispetto allo specchio, allora non serve costruire spogliatoi separati. Se esistono spogliatoi che dividono i generi sessuali, è perché non vogliamo (noi che nel meno medicalizzato dei casi produciamo uova) vedere bigoli al vento, neanche bigoli di gente che un giorno ha deciso di farsi chiamare Natascia.
Corpo a parte, quel che traggo dall’articolo della Long, e in generale dagli articoli usciti in questi giorni su Liz Truss, è che ha cambiato idee, partiti, persino posizione sulla Brexit. Insomma: esattamente quel che avrebbe potuto fare un politico uomo di questo secolo. E con meno commenti sui suoi capelli di quanti ne siano toccati a Boris Johnson, a proposito di solo-alle-donne. Elodie, cantante ora protagonista d’un film e quindi intervistata sull’attualità da giornalisti che ai festival di cinema sanno che otterranno un titolo ben posizionato solo se ai cast dei film faranno fare una dichiarazione politica, ha detto della Meloni: «è incredibile come sia violenta, come sia poco donna». Quindi, riepilogando, le donne sono quelle da cui ci aspettiamo che siano materne (ma senza rivendicarlo) e che preferiscano fare l’amore che la guerra. Scriveva Camilla Long che gli uomini con le donne di potere proprio non ce la fanno; andò così anche con la Thatcher: o la volevano demolire o la volevano sedurre. Non ce la facciamo granché neanche noialtre, mi pare, a farci una ragione del fatto che le donne sappiano e possano essere crudeli, ambiziose, malvestite come uomini. Da Medea a Golda Meir, preferiamo dire che sono poco donne.