Il populismo di Elon Musk

di Alessandro Balbo (linkiesta.it, 22 novembre 2022)

«Vox Populi, Vox Dei». Voce di popolo, voce di Dio. La sentenza con cui Elon Musk ha decretato la riammissione di Donald Trump su Twitter dopo aver pubblicato un sondaggio sulla piattaforma, ora di sua proprietà, richiama concetti di natura biblica e medioevale, ma si fa anche manifesto della peggiore forma di populismo della nostra epoca.

Ap / LaPresse

Una delega al “popolo”, un’idea di democrazia diretta che rende naturale il pensare a Musk come una sorta di Gianroberto Casaleggio di Twitter. Si potrebbe pensare al nuovo “Chief Twit” come espressione massima dell’era postmoderna, della post-democrazia e della post-verità, se non fosse che circa duemila anni fa un certo Ponzio Pilato, prefetto romano di Giudea, affidò al popolo la decisione sulla crocifissione di Gesù o Barabba, lavandosene le mani e dichiarandosi innocente per ciò che sarebbe successo. Senza dover evocare per forza le implicazioni teologiche e gli esiti di tale scelta sul destino dell’umanità, è evidente il filo comune di deresponsabilizzazione che accomuna i leader di ogni epoca della civiltà, dimostrando come, in fondo, all’evoluzione sociale non sia seguita quella prettamente biologica legata al potere, e alle sue conseguenze per chi lo detiene.

Sabato 19 novembre 2022, Elon Musk pubblica un sondaggio in cui pone alla platea di Twitter una domanda all’apparenza molto semplice e molto democratica: «Reintegrare Donald Trump: sì o no?». Votano oltre quindici milioni di persone, e vince il sì: 51,8 per cento contro 48,2. «Il popolo ha parlato. Trump sarà reintegrato. Vox Populi, Vox Dei» dichiara Musk il giorno dopo, ufficializzando il ritorno sul social network dell’ex presidente degli Stati Uniti dopo un ban di quasi due anni deciso in seguito alla sua responsabilità nell’assalto a Capitol Hill. La vicenda abbonda di parallelismi inquietanti: oltre ai due personaggi già citati, Casaleggio e Pilato, l’atteggiamento di Musk può essere accostato anche a quello dello stesso Trump. Con l’attacco al Congresso americano, il più grave cui il Paese abbia mai assistito, il popolo di “The Donald” aveva, su mandato del proprio comandante in capo, la chiara intenzione di sovvertire il processo democratico, impedendo la certificazione dei voti dei grandi elettori e dunque dell’elezione del nuovo presidente Joe Biden.

Senza (per ora) scomodare la rappresentanza, o legittimità delle scelte del proprietario di un’azienda privata, si può però considerare il concetto di rappresentatività. Sono 237 milioni gli utenti attivi di Twitter, e solo 134 milioni, secondo Musk, avrebbero visto il sondaggio. A rispondere sono stati 15 milioni, l’11 per cento. Sono numeri sufficienti per parlare, come fa l’Ansa, di «referendum»? Lorenzo Pregliasco, docente e fondatore di YouTrend, spiega su Twitter come non necessariamente un campione ad altissima numerosità renda un sondaggio statisticamente significativo, se tale campione non è rappresentativo. «Sondaggi con campioni giganteschi ma non rappresentativi sono *enormemente meno precisi* di sondaggi su campioni “piccoli” (1.000, 2.000, 10.000 casi) ma costruiti scientificamente» afferma Pregliasco, secondo cui il sondaggio di Musk «non vale granché».

Un numero apparentemente molto elevato di persone viene presentato come la rappresentazione fedele della totalità, ma risulta essere molto piccolo rispetto ad essa e assolutamente non rappresentativo; ciononostante, il suo verdetto viene spacciato come “voce del popolo”. Ricorda qualcosa? In effetti, la Piattaforma Rousseau – risultata cruciale in alcune delle decisioni più importanti per la democrazia italiana – funziona con lo stesso meccanismo. Non bisogna sorprendersi, però: i fondatori del Movimento 5 Stelle, Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, hanno dato vita alla loro creatura con il chiaro intento di superare la struttura della democrazia rappresentativa.

«Non credo più in una forma di rappresentanza parlamentare ma credo nella democrazia diretta fatta dai cittadini attraverso i referendum» dichiarava Grillo due anni fa, definendo la democrazia odierna come «zoppicante» e sostenendo che tutto si sarebbe potuto fare «con il voto digitale. Sono andato ancora a votare con una matita, dietro una cabina… Sono cose che non concepisco più. Noi abbiamo lanciato Rousseau, che è interessante. Una piattaforma dove un cittadino può dire, consigliare, votare a tutti i livelli, proporre una legge. Oggi si può fare. Si può fare un referendum alla settimana».

Una vera minaccia alla democrazia rappresentativa, che richiama il sempre più presente concetto del “fare ciò che chiedono i cittadini”, non importa se questo vada contro lo Stato di diritto, contro la Costituzione, contro i fondamenti stessi di una nazione. È la totale rinuncia al concetto anglosassone di accountability, traducibile con “responsabilità” nell’accezione di “capacità di rendere conto” delle proprie azioni. La rinuncia alla propria responsabilità di persone dotate di potere, in virtù del quale è sacrosanto prendersi il merito di decisioni particolarmente positive, mentre è disdicevole, quasi indegno, assumersi le colpe di una scelta sbagliata o contraria all’interesse pubblico.

E torniamo al “lavarsene le mani” di pilatiana memoria, la delega al popolo che decide da sé stesso per sé stesso, in modo che i potenti possano restare potenti senza dover rispondere ad alcuno e gli individui siano gli unici responsabili di verdetti contro il proprio interesse. È la degenerazione della democrazia e della libertà per come il mondo ha provato a costruirle, ovvero con un insieme di regole condivise e costrutti sociali legati assieme da una struttura denominata Stato. È anzi addirittura qualcosa di opposto al concetto stesso di democrazia: se la rappresentanza parlamentare consente alle minoranze di far sentire la propria voce, in questo caso si consente a una sparuta cerchia di votanti di decidere le sorti della totalità, attraverso quesiti indirizzati dall’alto e senza possibilità di replica ufficiale.

«Vox Populi, Vox Dei», si diceva. Nell’accezione originaria, l’espressione, enunciata nel Libro di Isaia, stava a significare che una cosa è vera quando il popolo è concorde nell’affermarla. In questo caso, il verdetto è vero quando una minuscola porzione di popolo è concorde nel sostenerlo. È davvero questo il destino che desideriamo per il mondo? Se sì, occorre prepararsi.

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