di Susanna Schimperna (huffingtonpost.it, 18 maggio 2022)
L’episodio, famosissimo perché spinse il Maestro a lasciare l’Italia, dove farà ritorno solo dopo la caduta del regime, nel 1946, è ricordato come “lo schiaffo di Toscanini”, il che può dar luogo ad equivoci: non fu lui a tirare uno schiaffo, ma lo prese. Sonoro. Assestato sulla guancia sinistra e vicino al labbro. 14 maggio 1931: al Teatro Comunale di Bologna è in programma un concerto per commemorare Giuseppe Martucci, e a dirigerlo sarà Arturo Toscanini.
Verranno eseguite la Prima Sinfonia in re minore, La Canzone dei Ricordi op. 75 (Notturno e Novelletta) con il mezzosoprano Luisa Bertana, e una Tarantella. I posti sono tutti prenotati e saranno presenti molte autorità e gerarchi fascisti, tra cui il ministro Costanzo Ciano e Leandro Arpinati. I gerarchi hanno appena inaugurato la Fiera e la Funivia di San Luca, e sono tutti a mangiare poco fuori città, quando vedono arrivare, trafelata e preoccupatissima, la signora Carla Toscanini De Martini, latrice di un importante messaggio e di una proposta. La moglie del Maestro è stata mandata in missione dall’organizzatore del concerto Giuseppe Lipparini, stremato da una lunga trattativa con Toscanini, che si rifiuta di far eseguire all’orchestra, in segno di rispetto verso i gerarchi, l’inno fascista Giovinezza.
Per tutto il giorno ci sono stati scambi concitati, idee per una mediazione, tentativi di un accordo che a Toscanini risulti accettabile. Lipparini ha proposto che il primo violino entri per dirigere l’esecuzione dell’inno e abbandoni il palco prima dell’ingresso del direttore, oppure che l’esecuzione dell’inno sia affidata a una banda, sempre prima che Toscanini esca sul palco. Toscanini ha respinto con sdegno entrambe le soluzioni e, secondo alcuni, ha anche aggiunto: «Io non mi presto a queste pagliacciate». Allora Lipparini ha avuto un’idea. Spiegare ai gerarchi la situazione e chiedere loro di non presiedere al concerto, in modo da salvare tanto il loro onore quanto quello di Toscanini, che, in assenza delle autorità fasciste, non eseguirà l’inno senza che questo possa configurarsi come uno sgarbo o, peggio, un affronto.
È proprio tale soluzione che la signora Carla è andata a proporre: signori, le cose stanno così e così, per uscire da questa penosa situazione altro non c’è che voi non veniate al concerto. I gerarchi accettano e Lipparini sollevato ne dà l’annuncio a Toscanini, che parte subito per il teatro a bordo dell’Isotta Fraschini, ma ormai è inutile. La voce del grande rifiuto ha fatto il giro della città e molti fascisti si sono radunati per accogliere “degnamente” il Maestro. Racconterà Mario Mancini, compositore presente alla scena (e successivamente, dopo l’8 settembre del 1943, prezioso per il movimento dei partigiani perché, come direttore dell’Ufficio approvvigionamento prodotti ortofrutticoli, permetterà loro di rifornirsi di quantità ingenti di generi alimentari rilasciando regolari bollette di prelievo): «Gli insulti cominciarono come Toscanini scese dalla macchina… ricevette uno schiaffo alla guancia sinistra, in basso, all’orlo del labbro. Allora l’autista, Emilio, che era un uomo fortissimo, diede uno spintone al Maestro facendolo entrare di forza nella macchina e cominciò a battersi a pugni coi fascisti perché non si avvicinassero».
Il concerto viene sospeso “per indisposizione del direttore”, mentre i fascisti in corteo percorrono le strade di Bologna e, arrivati all’Hotel Brun, dove Toscanini alloggia, gli intimano di lasciare subito la città: esattamente quello che lui aveva già deciso di fare, non prima però di aver dettato un durissimo telegramma di protesta a Mussolini, denunciando di essere stato aggredito da una “masnada inqualificabile”. Alle due del mattino, Toscanini parte per Milano. Aspetta per due giorni la risposta del Duce, che non arriverà mai. Allora lascia l’Italia per la Svizzera, dalla quale poi raggiungerà gli Stati Uniti. La stampa picchia duro. Toscanini viene sbeffeggiato, chiamato “maestrucolo”, bollato di “demenza senile”. Ma non sono pochi quelli che stanno dalla sua parte, e che per questo dovranno vedersela con i picchiatori. Oggi a ricordare l’episodio c’è una lapide all’ingresso degli artisti del Teatro Comunale di Bologna, in largo Respighi 1.