Balle, bolle e bulli

di Guido Vitiello (ilfoglio.it, 20 giugno 2020)

Diceva Nabokov che i romanzi di Hemingway sono tutti bells, balls and bulls: campane, coglioni e tori. I social network, invece, sono per lo più balle, bolle e bulli, ossia demagoghi gradassi che rifilano menzogne ai popolatori delle loro echo chamber per galvanizzarli e incitarli. La corrida di queste settimane, con i toreri di Facebook e Twitter che infilzano banderillas sulla groppa del toro sbuffante della Casa Bianca, sempre più frastornato, è forse l’avvisaglia di una resa dei conti epocale, ma invita anche a qualche considerazione sconfortante sul tragitto che ci ha portati fin qui.

Amira Lin / Pixabay – Facebook
Amira Lin / Pixabay – Facebook

Perché passiamo troppo tempo a chiederci se i social network facciano bene o male a segnalare, chiosare, rimuovere l’uno o l’altro post di Trump, e troppo poco a chiederci che razza di mondo è quello in cui il presidente degli Stati Uniti può usare allegramente simboli nazisti contro i suoi oppositori o divulgare grossolane menzogne su una materia istituzionalmente delicatissima, in una democrazia, come il processo elettorale.

La risposta, fin troppo ovvia, è che è appunto il mondo plasmato da Facebook e da Twitter. Ma sta di fatto che, venute giù come tessere di un domino altre difese politiche, giornalistiche e istituzionali, è proprio dal cuore della disintermediazione che sta emergendo la prima forma efficace di mediazione, con tutte le contraddizioni e le controindicazioni del caso. “Dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva”: lo diceva Heidegger (citando Hölderlin) a proposito dell’epoca della tecnica. Chissà che non ci ritroveremo a dire lo stesso della stagione dell’algoritmo.