Con Trump è possibile un’America fascista

di Massimo Teodori (huffingtonpost.it, 5 ottobre 2021)

Può l’America divenire un Paese fascistizzante se alle elezioni di mid-term del 2022 i Repubblicani conquistassero entrambe le Camere e alle presidenziali del 2024 Donald Trump fosse di nuovo in corsa per la Casa Bianca? Questa è l’inquietante ipotesi avanzata dal politologo Robert Kagan sul Washington Post, ripresa anche da Hillary Clinton con il clamore dei media. La prospettiva fascista non è stata mai presa sul serio negli Stati Uniti. Nel 1935, quando erano al massimo crisi economica, disoccupazione e povertà e si temeva una involuzione politica, Sinclair Lewis pubblicò il romanzo It can’t happen here per escludere la possibilità di un trionfo dei movimenti fascistoidi che allora guardavano al senatore populista della Lousiana Huey Long come alternativa a Franklin D. Roosevelt.

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Settant’anni dopo, nel 2004, Philip Roth riprese il tema con il fantaromanzo The plot against America che ipotizzava la vittoria presidenziale nel 1940 del trasvolatore atlantico Charles Lindberg a capo di “America First”, un filo-nazista pronto a portare gli Stati Uniti accanto a Hitler. Oggi, la tesi di Kagan è che il sommovimento cresciuto intorno a Trump può avere successo non per ragioni economiche ma grazie alla manipolazione delle regole istituzionali ed elettorali. La sua riflessione prende avvio dal fatto che l’elezione di Joe Biden è stata convalidata negli Stati in cui il candidato Democratico ha avuto una vittoria di misura da governatori Repubblicani che hanno agito nel rispetto delle regole costituzionali piuttosto che cedere alle pressioni di Trump. Tuttavia, negli ultimi anni il Partito Repubblicano è cambiato con la presa del potere in diversi Stati dei filo-trumpiani, mentre il partito nazionale appare sempre più come “uno zombie”. La propaganda di Trump secondo cui l’attuale governo degli Stati Uniti è stato catturato con frode da socialisti, minoranze di colore e devianti sessuali sotto l’insegna Democratica fa breccia sul comune sentire di alcuni strati popolari, e l’appeal dell’uomo forte attrae non solo gli estremisti. L’assalto al Campidoglio dello scorso 6 gennaio è stato un assaggio di ciò che potrebbe verificarsi nel caso di scontri violenti, soprattutto se il Congresso sarà Repubblicano, il che non significherebbe che i nuovi eletti Repubblicani d’oggi e di domani siano omologabili a quelli dello storico Grand Old Party, cioè rispettosi della convenzione costituzionale che nell’ultimo secolo ha unito i due partiti.

La massiccia presenza estremista filo-trumpiana nel Partito Repubblicano, infatti, è del tutto nuova, anche se strumentale. In passato vi sono stati politici demagoghi e personaggi della destra populista e reazionaria che hanno tentato l’escalation nazionale, ma sono sempre rimasti fuori dalla Casa Bianca. Negli Stati Uniti il complesso equilibrio delle istituzioni a garanzia di democrazia e libertà non è solo quello tradizionale degli Stati di diritto, ma conta anche – e soprattutto – sul doppio sistema di sovranità dato dal federalismo che incide sul Congresso e la presidenza. Se domani i governatori di molti Stati si adeguassero alle direttive di Trump (che già nel 2020 ha esercitato pressioni di questo tipo) in presenza di una Corte Suprema la cui maggioranza è stata nominata dall’ex-presidente, potrebbe divenire facile in alcuni Stati la manipolazione costituzionale, specialmente se si verificassero scontri tra gli estremisti di destra e di sinistra. La forza della democrazia liberale negli Stati Uniti poggia sulla solidità delle istituzioni che hanno contribuito ad arginare i tentativi autoritari pur verificatisi nel corso del Novecento. Ma mai una forza del sistema bipartitico è stata completamente colonizzata in maniera demagogica da una persona, come sembra accadere oggi. Per questo si moltiplicano gli allarmi per bloccare i passi verso l’autoritarismo, che, a detta di Kagan, sono già evidenti.