Il mare largo del potere

di Andrea Venanzoni (ilfoglio.it, 2 maggio 2022)

Nella convention milanese di Fratelli d’Italia sciabordava, in metafora e in potenza simbolica, il suono del mare largo. Chiamati a punteggiare la costruzione del soggetto politico meloniano nella strada, pardon nella navigazione verso il governo del Paese, le figure marinare e il mare sono stati evocati a piè sospinto. «Noi siamo navigatori», ha ricordato Giorgia Meloni. Che ha poi rivolto un avviso ai “naviganti” di sinistra, sul fatto che saranno battuti. E ancora: la leader del partito dal palco ha raffigurato la dicotomica distinzione tra il “surfista”, che tende a scivolare sulla sommità delle onde e in certa misura a esserne guidato, e appunto il “navigatore” che al contrario domina le correnti e le intemperie oceaniche. Se a questo aggiungiamo che tra i punti programmatici è stata ipotizzata la costituzione di un Ministero del Mare potrebbe dirsi che il cerchio davvero si chiude.

Dovremmo ora ricordare che «il mare non è mai stato amico dell’uomo, tutt’al più è stato complice della sua irrequietezza», come scriveva Joseph Conrad, e c’è da interrogarsi seriamente su queste metafore mitograficamente potenti ma anche scivolose. La fluidità del mare e della navigazione, da decenni, sull’onda montante della globalizzazione e della digitalizzazione, è divenuta paradigma epistemologico per scandagliare le nuove dinamiche isomorfiche del potere. E se già Carl Schmitt contrapponeva la telluricità della terra e dei suoi Stati alla adattiva liquidità talassocratica degli imperi oceanici, come l’Inghilterra, nel corso degli ultimi tempi le forme di organizzazione e di governo della complessità oltre-statale sono tornate al centro delle analisi e dell’attenzione degli studiosi: il florilegio di libri sulla Compagnia delle Indie orientali, autentico strumento di dominio oceanico del potere inglese, da Anarchia di William Dalrymple a I missionari dell’ordine di Matilde Cazzola, ne è indicatore privilegiato.

Meloni nell’ambiente simbolico acquatico potrebbe davvero trovarsi a suo agio; in fondo, come insegnava Carl Gustav Jung, il mare è simbolo archetipico di una femminilità lunare e l’ascesa della leader di Fratelli d’Italia, in questo senso, appare quindi come un perfetto specchio dei tempi e della contingenza. Il vento in poppa però, per restare in tema di metafore marinare, è sempre da razionalizzare con cura e senza eccessivo moto d’orgoglio; sembra spirare in maniera obnubilante, se non lo si riesce ad utilizzare in maniera analitica, e spinge da un lato e dall’altro come il vento largo che «non soffia mai nella stessa direzione e di conseguenza disorienta molto», per citare lo straordinario Francesco Biamonti. E se poi si rimane non a navigare ma a fluttuare in una caotica deriva, si rischia la consunzione perché «mare, mare ovunque e non una goccia da bere», e il buon Samuel T. Coleridge in La ballata del vecchio marinaio la sapeva lunga assai: il mare è grembo, culla di civiltà e di aspirazioni politiche, ma può anche essere infida tomba dipinta in un cupo blu.

Il mare forgia il carattere e pone spesso al limite le capacità. Adattando il discorso alla sfera della gestione del potere, implica una strategia estremamente adattiva, mimetica, fluida e scorrevole. Per ora, a dirla tutta, sembra che la traversata oceanica invocata e offerta all’opinione pubblica italiana dalla Meloni indichi il viaggio verso una piena legittimazione del suo partito come forza di governo. In fondo, la navigazione è appena cominciata e «ogni mare ha l’altra riva», come annotava in maniera insolitamente speranzosa Cesare Pavese.

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