La sorte di Giambruno e del suo ciuffo

di Guia Soncini (linkiesta.it, 20 ottobre 2023)

Anni fa, i saperlalunghisti dicevano che la ragione per cui alcuni dei figli di Silvio Berlusconi si riproducevano senza sposarsi fosse un veto paterno: se poi ti separi, non disperdiamo il patrimonio dovendo dar soldi a qualcuno che non è sangue del nostro sangue e piume delle nostre piume. Mi è tornato in mente ieri, mentre pensavo quant’è stata sveglia Giorgia Meloni a non sposarsi, quanto aver evitato di dire “finché morte non ci separi” sia stato il gesto che più la qualifica come statista, come politologa, come pianificatrice che come tutte noi si prende delle cotte per degli impresentabili ma mica le degna d’un sigillo formale.

Ph. Adam Winger / Unsplash

Mi è tornato in mente mentre non smaltivo la lista dei temi di cui avrei dovuto scrivere in questa paginetta. Potrei scrivere di quel tal spettacolo, sono andata a Londra apposta a vederlo. Potrei scrivere del romanzo di Zadie Smith, sono settimane che voglio parlarne e intanto l’autrice è persino venuta a farsi intervistare in Italia. Potrei scrivere della Succession italiana, la saga di famiglia dei Caprotti che la prossima settimana sarà alta in classifica e contiene più colpi di scena di certi romanzoni di Jackie Collins. Potrei principiare il culturale in vari modi, potrei rendere utile il fatto d’andare in giro per il mondo a vedere e leggere cose, potrei fare molte cose, ma non posso, perché ogni cazzo di giorno c’è da occuparsi di Bellicapelli Giambruno, ditemi voi se è vita questa, ditemi voi se una può mai fare l’intellettuale nell’epoca in cui c’è un Giambruno al giorno.

Il mercoledì c’è Bellicapelli che dice a Chi che siamo tutti invidiosi del suo ciuffo (quanti capelli che ha, non si riesce a contare, sposta la Meloni e lasciami guardare). Il giovedì c’è Bellicapelli che interpreta Verdone in Un sacco bello in delle immagini mandate in onda da Striscia la notizia. Oggi, se ci vogliono male, ci sarà come minimo un giornalista schienadrittista che chiede conto alla Meloni di Bellicapelli in quel filmato, e lei che ci redarguisce sulla libertà d’espressione, e neanche domani io potrò principiare il culturale. Non vorrei ripetermi, ma: non è vita.

Ieri, i saperlalunghisti ci spiegavano che Striscia che manda in onda delle immagini di Bellicapelli che, durante la pubblicità, si aggiusta il pacco, fa il mollicone con una giornalista, parla (come sempre) dei propri capelli, e in generale è tragicamente sé stesso, che il fatto che quelle immagini siano state trasmesse da Striscia è il segno dell’avvio della guerra di Forza Italia contro la Meloni. A parte che vorrei sapere chi altro le avrebbe potute trasmettere – dove diavolo dovevano trasmetterlo, un “fuori onda”, un concetto che non esisterebbe se non se lo fosse inventato Antonio Ricci? – c’è, in chi fornisce questa analisi, una commovente sottovalutazione dell’indole personale.

Tra tutti i bracci armati servizievoli, malleabili, smaniosi di essere il Calboni del potente di turno, tra tutti coloro che si possono scegliere per l’operazione di boicottaggio del convivente di Giorgia Meloni, e di conseguenza per sbilanciare i rapporti di forza interni alla maggioranza di governo, chi è il folle che va a rischiare la vita e la strategia e la salute affidando un’operazione che prevede assenza di guizzi personali e cieca lealtà a, mi viene da ridere anche a scriverlo, Antonio Ricci? Lo so, lo so: non vi ho ancora parlato in dettaglio del video, casomai nelle ultime trentasei ore aveste tenuto tutto spento per leggere Zadie Smith o Giuseppe Caprotti (beati voi) e non sapeste che la nazione dibatte della differenza tra blu Cina e blu Estoril, cioè due nomi della tinta burina preferita dalle americane nelle serate di gala, il blu elettrico.

Accade che, nelle immagini che pensava – tapino – non sarebbero mai state trasmesse, Giambruno faccia abbondante uso di «coglioni» e «cazzo», intesi come lemmi e non come organi, e lo faccia con un fastidioso uso meridionalista dei tempi verbali («ma non mi rompessero i coglioni», invece di «ma non mi rompano»: lo so, a Roma è una battaglia persa, ma sono le uniche che m’appassionino). Accade poi che si ravani assaissimo il pacco, inteso come zona dei pantaloni che contiene gli organi da cui i suddetti lemmi. Accade poi che si avvicini a una giornalista in studio e i due non concordino sul nome del colore della di lei giacca, e a quel punto Bellicapelli dica una cosa su cui non riesco a capire come mai non si sia concentrata la conversazione collettiva.

«A noi sta sul cazzo la Cina», dice Bellicapelli quando lei vuole chiamare la sfumatura «blu Cina», e la nazione già insorta quando il nostro eroe dell’intrattenimento pomeridiano aveva detto a un ministro tedesco di starsene a casa invece di lamentarsi delle vacanze in Italia, quella nazione lì non fa un plissé, non pronostica che la Cina ci sgancerà l’atomica per colpa di Bellicapelli, non grida all’incidente diplomatico. Essendo troppo impegnata, la nazione, a concentrarsi sul «Ma perché non ti ho conosciuta prima?» sospirato a questa tizia in blu elettrico, che permette ai commentatori da social di usare una delle poche categorie filosofiche a essi note: la Meloni è cornuta (più fanno gli illuminati di sinistra, più hanno la morale sessuale della moglie del Gattopardo).

Pensano che tutto accada per caso: che colpa ne ha Giambry, se il cuore è un gitano e va? Non avendo essi chiaro che quel tono da mollicone è l’ultimo rifugio d’un uomo disperato, che a casa non è quello che guadagna di più, non è quello più famoso, non è quello più di successo, non è nemmeno quello più capace di usare i tempi verbali. Cosa resta, a quella ferita narcisistica ambulante che è Bellicapelli, se non sentirsi vero uomo in quei dieci secondi in cui fa il cretino con una che, trovandosi loro in uno studio televisivo, e rassicurata dal fatto che non le potrà mettere le mani addosso, neanche s’incomoda a mandarlo a quel paese?

Ieri sera, Ricci è tornato a infierire (quanta cascina di Bellicapelli sarà riuscito ad accumulare, Ricci, prima che l’eroe tricologico della nazione capisse come funzionano i microfoni e che doveva darsi una regolata?). Questa volta Giambry era fuori dal raggio delle telecamere, ed è quindi in solo audio che ci ha deliziato di alcune mitomanissime cronache di threesome e foursome (Bellicapelli è il genere di provinciale che pensa che faccia fino chiamare l’orgia in Inglese). Sempre più Verdone che tenta di rimorchiare europee dell’Est, sempre più Manuel Fantoni che «Raquel c’ha du’ chiodi», ma un Fantoni col complesso muliebre.

Quando uscì Il diavolo veste Prada, film-manifesto delle frustrazioni maschili di fronte all’affermazione professionale femminile, il pubblico si divise in due. Le beate ingenue, convinte che il problema fossero le multinazionali cattive, e che il fidanzato cuoco facesse bene a boicottare la protagonista che lavorava per una che l’aveva sì resa una che sapeva lavorare e sapeva vestirsi, ma era comunque una megera. E le adulte, che erano prima o poi inciampate in un uomo con una carriera meno brillante della loro, e sapevano che il fidanzato non la boicottava per proteggere lei dal troppo lavoro ma sé stesso dal troppo sbilanciamento all’interno della coppia. A un certo punto Anne Hathaway diceva che la sua vita privata stava andando a puttane, e Stanley Tucci le rispondeva che era il segno che la sua vita professionale stava andando bene: quando andrà completamente a puttane, concludeva, significa che è ora di una promozione.

Certo, Giorgia Meloni ha le parate militari, gli incontri coi capi di Stato, i Consigli dei ministri, le conferenze stampa, le leggi di bilancio, gli editorialisti che la criticano, i comici che la sbeffeggiano, gli elettori suoi che la idolatrano e quelli altrui che la detestano: ha continue conferme del peso del proprio ruolo. Ma nessuna vale quanto: il tizio con cui dividi il letto scapriccia e fa i dispettucci e si copre continuamente di ridicolo per rifarsi del divario tra quella che eri quando ti ha preso e quella che sei diventata, mentre lui sempre dov’era è rimasto. O quasi. «Ma perché non ti ho conosciuta prima?», chiede Bellicapelli. Perché, Bellicape’, se avessi conosciuto Blucina invece che la presidente del Consiglio, saresti rimasto uno che si ravana il pacco in una redazione invece che in uno studio televisivo, e non rilasceresti interviste sul tuo ciuffo. Ciuffo che sarebbe comunque, anche in quel caso, come lo è oggi, il tuo traguardo più prezioso.