Smarriti tra social, fake e libertà di parola

di Stefano Diana (huffingtonpost.it, 5 dicembre 2019)

Sacha Baron Cohen non è solo un attore e un grande comico, ma uno strepitoso culture jammer della gloriosa stirpe di Joey Skaggs e degli Yes Men. Come tutti gli eroi del pranking, Baron Cohen manipola i potenti sospendendo per un istante i rapporti di forza usuali e portando alla luce la verità mediante la menzogna.fake-newsI suoi personaggi di finzione sono sovraidentificazioni dei vizi dei pezzi grossi, e in questa falsa affinità essi si specchiano senza ritegno, esponendo il volto barbaro di uomini apparentemente normali e di una cultura presunta civile. L’esempio più recente è il sedicente colonnello isrealiano Erran Morad, nella serie Who is America?, che da guerrafondaio iperbolico convince parlamentari e lobbisti amanti del Secondo Emendamento a candide difese della tortura e a tragicomiche pubblicità di pistole e programmi di armamento per infanti. Non così però nella sua recente, appassionata orazione da ospite della Anti-Defamation League, la più antica organizzazione internazionale contro l’antisemitismo e l’odio sociale in genere. Stavolta, Baron Cohen ha deciso di presentarsi a volto scoperto per affrontare con la dovuta sincerità il più grave problema dei nostri tempi insieme all’emergenza ecologica: la profonda confusione generata all’incastro tra piattaforme social, fake digitale e libertà di parola, che sta decostruendo la democrazia e rischia di disintegrare la civiltà occidentale.

Fake news e disinformazione sono riconosciute da anni come armi da guerra. Insieme al microtargeting via social media, reso noto dalla nefanda consulenza di Cambridge Analytica nelle presidenziali Usa del 2016 e nel referendum per la Brexit, possono sovvertire l’esito delle elezioni. La tecnica della falsificazione digitale, potenziata da metodi di intelligenza artificiale, è arrivata non solo alla produzione automatica di testi artificiali che possono diffondere fake news su scale gigantesche, ma anche a rendere praticabili video quasi indistinguibili dal vero (i temibili deepfakes) in cui si può far dire e fare quel che si vuole a chiunque, inclusi avversari politici ed ex fidanzate. Le piattaforme social, grazie ai loro pubblici enormi di individui isolati, e a interfacce progettate per moltiplicare la condivisione con la minima ponderazione, sono i veicoli ideali per trasmettere i virus della post-verità che aizzano paura e odio ad hoc con spaventosa efficacia.

Questi strumenti di comunicazione e di potere bypassano completamente l’ordinamento repubblicano. Distruggono alla radice la fiducia nella partecipazione e nel processo di voto, lasciando della democrazia solo la consunta impalcatura, come una casa abbandonata. Lo fanno in modi del tutto nuovi, non paragonabili ai vecchi tipi di propaganda noti dalla Storia, ben più sottili e inafferrabili. Due esempi recenti sono sufficienti per capire il disorientamento emergente.

Il primo riguarda proprio Baron Cohen, che nel discorso sopra detto si chiede cosa avrebbero potuto combinare Hitler e Goebbels se avessero avuto in mano Facebook, biasima la disponibilità delle piattaforme social a far da megafono ai falsari e ai troll, e reclama provvedimenti di bando. Per questo è stato tacciato di fascismo, come chi pretende di reprimere la libertà di parola. Eppure, la libertà di parola non c’entra nulla con Facebook o Twitter. Per le piattaforme social gli unici valori sono privati, non pubblici, e sono il Mol, il prezzo delle azioni, l’interesse dei proprietari e degli azionisti a massimizzare la quantità di scambi monetizzabili attraverso il loro software, che è segreto industriale. L’equivoco che le piattaforme siano paladine della libertà di parola, argomento preferito di Mark Zuckerberg, viene sfruttato a mani basse da una manciata di persone per fare miliardi a palate. L’efficacia è provata da una concentrazione di denaro e di potere mai vista.

Il secondo esempio notevole è quello appena dato da Emanuele Castrucci, che per esonerare la sua apologia di Hitler sui social ha detto “mi appello alla libertà di pensiero”. Qui lo scandalo vero è il fatto che un professore di Filosofia del diritto faccia finta di ignorare la verità più basilare della vita civile, e proprio nel momento in cui se ne giova. Questa verità, va sempre ricordato, è che la libertà di cui lui stesso pretende di farsi scudo esiste se e solo se è limitata, di comune accordo. Altrimenti non c’è libertà, ci sono solo predatori e prede. Come un milione di anni fa.