Victoria’s Secret licenzia i suoi angeli: etica o marketing?

di Silvia Renda (huffingtonpost.it, 18 giugno 2021)

Ha impiegato un po’ di tempo, sotto la resistenza di una barriera più solida da abbattere, ma alla fine il vento del #MeToo ha soffiato anche sugli angeli di Victoria’s Secret e si è portato via le loro ali. Il brand di lingerie che dal 1977 porta in passerella la perfezione estetica – come tradizionalmente intesa – affretta il passo per mettersi in pari con quello dei tempi di oggi, dove la miccia accesa dal caso Weinstein ha aggiornato i canoni di bellezza, riposizionato la figura della donna, che rifiuta l’esistere e il piacere solo come oggetto del desiderio maschile.

victorias-secret-2014-fashion-show-candice-swanepoel-gold-wingsNiente più bellezze statuarie. Non saranno angeli a rappresentare il brand, ma un “collettivo” composto da sette donne, fra le quali spiccano Megan Rapinoe, la campionessa con i capelli rosa del calcio americano paladina della parità di genere; Eileen Gu, la 17enne cinese-americana protagonista dello sci freestyle; la modella-attivista Paloma Elsesser, una delle poche ad aver conquistato la copertina di Vogue con una taglia 50; e Priyanka Chopra Jonas, la 38enne attrice indica investitrice nel settore tecnologico. Sono volti prestati alla moda, modelli da seguire, prima che modelle da passerella. Quello che dicono, quello che hanno fatto, contribuisce ad alimentare il loro fascino. «Quando il mondo è cambiato, siamo stati troppo lenti a rispondere. Abbiamo bisogno di non essere più quello che vogliono gli uomini», dice Martin Waters, amministratore delegato della società, al New York Times.

Non sembrano essere solo valori etici, tuttavia, ad aver motivato la svolta. A maggio del 2020 è stata annunciata la chiusura di 250 negozi, dopo che L Brands, la società che possiede il marchio, ha presentato i risultati economici del primo trimestre dell’anno confermando un crollo delle vendite del 37%. Nel 2021 altri 50 punti vendita chiuderanno i battenti. Victoria’s Secret ha pagato caro gli effetti del movimento #MeToo, risentendo pesantemente dei rapporti stretti fra Leslie Wexner, l’ex titolare della società, e Jeffrey Epstein, il milionario accusato di stupro e pedofilia e morto suicida in carcere. Non solo: 30 dirigenti, impiegati e modelle hanno accusato il fondatore Leslie Wexner e l’ex top manager Ed Radek di molestie e abusi. Il brand prova a ripulirsi la faccia esaltando un modello diverso di donna, abbracciando i valori del politicamente corretto. Funzionerà? Staremo a vedere. È giusto? Fin quando della bellezza non se ne faccia una colpa.

Un tempo, per le modelle – che quello fanno di mestiere –, approdare sulla passerella di Victoria’s Secret era una consacrazione della propria carriera. Divinità estetiche irraggiungibili per i comuni mortali che – a prescindere dal carisma, dai valori, dal privato di ognuna di loro – durante quella sfilata in lingerie erano chiamate a fare solo quello: essere mozzafiato, dando vita a uno show che era anche spettacolo, oltre la moda e la bellezza. Non è alla passerella di Victoria’s Secret che le ragazze guardavano in cerca di un’ispirazione intellettuale per decidere cosa sarebbero diventate da grandi. O forse qualcuna sì, ma non c’è niente di male. Vero è che alzare fino a quel punto l’asticella della perfezione estetica ha finito per favorire anche rapporti sbagliati con il proprio corpo: sia per gli addetti ai lavori sia per i giovani, intenti a osservare la loro magnificenza sui cartelloni pubblicitari. Nel 2018 la 26enne Bridget Malcolm, ex angelo, ha chiesto scusa per aver veicolato un modello di bellezza malato, ottenuto seguendo una dieta non sana. «Mi dicevano: “mostra le costole”, “risucchia la pancia”» ha raccontato in un blog in cui puntava il dito contro l’industria della moda.

Se la mossa di Victoria’s Secret segnerà la fine di questa degenerazione non è ancora dato saperlo, specie in un’epoca in cui la passerella più in vista è quella dei social, dove pullulano influencer che rappresentano modelli di perfezione irraggiungibile (se non artefatta) sponsorizzando diete improbabili e ritocchi estetici. Quel che è certo è che ciò che l’azienda di lingerie ha fatto è una mossa di marketing nel tentativo di risollevare dall’abisso un brand i cui fasti sono ormai lontani. Vedremo se il tempo, almeno per il raggiungimento di questo secondo obiettivo, le darà ragione.