Antonio Pappalardo, generale pop

di Guia Soncini (linkiesta.it, 1° giugno 2020)

«Fra qualche tempo, caro Vasco Rossi, non sarai ricordato neanche dal netturbino che passa per le strade. Le mie sinfonie sono immortali, caro Vasco Rossi» (è domenica pomeriggio quando, in arancione su sfondo bianco che potrebbe essere trullo ma vai a sapere, Antonio Pappalardo si filma mentre si rivolge a Vasco Rossi – «parlo da musicista a musicista» – il quale ha postato su Instagram dei pensierini sul raduno dei gilet arancioni sabato, in Piazza Duomo).

Gilet Arancioni via Facebook
Gilet Arancioni via Facebook

«@PaulMcCartney, I compose Beatles Symphony to unite Afrika with Europe. I would like to meet you to make you listen the opera for a great symphonic orchestra» (l’account Twitter @GiletArancioniP, a nome Generale Antonio Pappalardo, esiste da meno d’un anno, e negli ultimi quattro mesi ripete strazianti appelli a Paul perché gli scriva, gli telefoni, insomma si faccia vivo per sentire ’sta benedetta sinfonia; ci sono però anche tweet rivolti a Yoko Ono, acciocché ascolti la Imagine Symphony: il Pappalardo sembra quegli uffici stampa che ti scrivono per dirti che tu sola puoi scrivere del tal libro, ma si sono dimenticati di cambiare il nome in cima alla mail da uno dei quarantanove invii che hanno fatto ad altrettante “tu sola”).

«Gridate: “Vogliamo una nuova Norimberga”» (voce fuori campo dà indicazioni in un video postato da Pappalardo sulla propria pagina Facebook. Il filmato è d’un gruppo di persone, in arancione non donantissimo, che sabato pomeriggio si dirige verso il Duomo; la frase che il Pappalardo scrive per introdurre il video è: «Pappalardo uno dei più grandi compositori musicali del mondo conquista Milano» – assenza di punteggiatura e senso delle priorità come nell’originale).

«A Milano e a Bergamo, che sono le città più colpite da questo coronavirus […]. Siamo andati a Bergamo, dove sono morte tante persone» (alle 20 e 58 di sabato, il Pappalardo in giacca arancione coordinata alla montatura degli occhiali va in diretta Facebook. È in un interno pescarese, al suo fianco c’è il colonnello locale Aurelio, definito «un eroe», e il virus esiste, colpisce, terrorizza la popolazione che però impavida va a manifestare).

«Si sono presentati due biologi e virologi, m’hanno detto generale, finalmente, uno che dice che questa è una porcata, la pandemia è una falsità totale, non esiste, perché sono morte solo cento persone in tutta Italia» (un minuto dopo, stesso video, sempre cronaca bergamasca; la mentre vacilla: se sono cento in tutta Italia, quante sono “tante” a Bergamo?).

«Lei sta liberando il popolo italiano» (quel che Pappalardo dice gli dicano i virologi, e noi che ci lamentiamo di quel che dicono in tv).

«Noi sacerdoti ogni sera ci riuniamo e preghiamo per lei» (prete eremita che – in questo giro son tutti musicisti – avrebbe poi consegnato a Pappalardo una Generale con le parole riscritte su misura per lui; De Gregori sarà contentissimo).

«L’emerito cialtroncello, il topo d’ufficio» (Pappalardo, nell’insolentire Beppe Sala, arrotonda le “c” come Tina Lattanzi quando doppiava Joan Crawford).

«Estorsione aggravata, attentato contro la Costituzione, abuso d’ufficio» (elenco di reati per i quali il Pappalardo vuol denunciare Conte, Sala e Fontana; inspiegabilmente manca l’abigeato).

«Ci hanno oscurato il video che abbiamo fatto poco fa, su una giornata storica, è una vergogna» (alle 21 e 46 l’esterno è sempre pescarese, Aurelio è sempre alla sua sinistra: «È vero, A, a, a…», «Aurelio!», «Aurelio, di’»; di fronte verranno inquadrati, a fine diretta, una decina di italiani acclamanti; ovviamente il video d’un’ora prima non è oscurato, è sempre lì ben visibile, e Pappalardo è quello zio che abbiamo tutti, quello cui spieghiamo come fare le ricerche e che scuote la testa dicendo che il suo iPhone non ha l’Internet).

«In cinque giorni i napoletani hanno cacciato via da Napoli i nazisti, in cinque giorni i milanesi hanno cacciato via i fascisti da… da Milano» (speriamo che a nessun prete eremita venga in mente d’incidergli una cover di Cinque giorni di Zarrillo; comunque dice che adesso marciano su Roma – terminologia felicissima – e in cinque giorni cacceranno «questa dittatura insolente»).

«L’Istat dice che ci sono cento morti solo per coronavirus» (non avranno risposto al censimento, sa come sono poco collaborativi ’sti morti).

«Io respiro, e non ci metto una mascherina per impedire la libera circolazione ai miei polmoni» (no alle targhe alterne per i polmoni, diamine).

«Referendum per la costituzione della Repubblica Confederale, su sei Stati Confederati (Grande Nord, Grande Centro, Grande Sud, Grande Sicilia, Grande Sardegna)» (programma politico del Movimento Gilet Arancioni, sei grande grande grande come te sei grande solamente tu, e il punto 5 – «Attribuzione di 1.000 Lire Italiche ad ogni capofamiglia residente in Italia» – mi ha maiuscolamente conquistato, però a me i sei Stati confederati sembrano cinque: uno di noi due ha fatto troppe assenze a scuola).

«I comunisti avvertono il cambiamento, i comunisti tremano» (stralcio da uno status di Facebook di Pappalardo, domenica pomeriggio).

«Mi sei venuto addosso, chiama l’ambulanza», «Allora rivolete il comunismo» (dialogo tra un passante investito sulle strisce e Corrado Guzzanti, Il caso Scafroglia, 2002).

«Sono tornato dalla Tunisia dove già vivono 8mila italiani che non ne possono più di essere sfruttati da uno Stato tiranno. Occorre ripartire dalla Tunisia. Cartagine e Roma questa volta insieme» (Pappalardo, tweet del 20 gennaio).

«In quanto discendente di Luigi XVI, e affezionato alla difesa della sua memoria, spero che il danno sarà riparato e la statua ripristinata. Ringrazio anticipatamente le autorità per le misure che vorranno prendere in merito. #Louisville #Louisvilleprotests #Kentucky» (Luigi di Borbone, secondo la sua biografia su Twitter duca d’Anjou, twitta sabato, mentre in America sono in corso rivolte e violenze, la propria preoccupazione perché durante una manifestazione è stata danneggiata la statua d’un suo antenato. Quello che nel paese del ducato d’Anjou decapitarono).

«C’è bisogno di te per fare Pappalardo che dice “Ve lo giuro sul mio onore di soldato”», «C’è bisogno di te per fare il pronipote del re decapitato che chiede il restauro della statua nel mezzo del delirio globale» (messaggi che ho scritto a Corrado Guzzanti e poi ho cancellato prima di inviarli, giacché dev’essere terribile che tutti s’aspettino tu faccia ridere volontariamente, in quest’epoca di sketch involontari).

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