Lo stile Donald e l’allievo Matteo

di Enrico Deaglio («Il Venerdì», suppl. a «la Repubblica», 27 luglio 2018)

Lo stile, alla fine, è quello che resta. Di Hitler i baffetti e l’isteria della voce, di Mussolini il mascellone, di Stalin la divisa e “quel” taglio degli occhi, di Donald Trump la cafonaggine aggressiva e il grande riporto biondo ariano.Rosario-SalviniPer che cosa sarà ricordato Matteo Salvini, 45 anni, vicepremier italiano nell’attuale governo di coalizione Lega-5Stelle, presieduto dall’avvocato Giuseppe Conte? Sono aperte le scommesse. Il vicepremier è in questo momento a una svolta esistenziale. Si sente premier in pectore, secondo i sondaggi è padrone assoluto di stomaco, intestino tenue, colon, retto del trenta per cento degli italiani che lo vorrebbero ancora più cattivo, più rozzo, più violento. Ha conquistato il ministero degli Interni (di cui usa la carta intestata per querelare uno scrittore) evocando schedature, deportazioni, torture, distribuzione di pistole ai padani, chiusura dei porti, tolleranza zero, licenziamenti di oppositori. Viaggia, twitta, compare, minaccia, grida, si è legato stabilmente a Putin, straparla di euro, alta finanza, sostituzione di popoli, non si trattiene dagli stilemi antisemiti e dalle parole d’ordine della “alt-right”, della supremazia bianca, sdogana, protegge e prende accordi con gruppi neofascisti e neonazisti che funzionano come suo volano e amplificatori della sua presenza. Il tutto sempre con la camicia bianca sbottonata e fuori dai calzoni, un look che varia tra il Medio Guappo, il Fonzie della Bassa, il bodyguard di Riccione, il Contractor, il Braccio Destro dell’organizzatore di eventi. Molto umano, genitoriale. Qualche volta con un Rosario in mano. Gli fanno credere di essere sexy, lascia capire che non smetterà mai, qualunque incarico prenderà, i coretti contro i napoletani, e che non si metterà mai un doppiopetto. Insomma: da quando Donald Trump ha portato alla presidenza degli Stati Uniti il linguaggio e lo stile di vita che furono dei migliori gangster americani («io le donne le prendo per la fica», «sei tutto chiacchere e distintivo», «se fai come dico io, nessuno si farà male»), c’era veramente bisogno di epigoni. Matteo Salvini è stato il più zelante. Ha copiato in tutto il Maestro; così come The Donald è riuscito ad andare alla Casa Bianca, Matteo si è sistemato al Viminale, in luoghi dove non sono riusciti ad arrivare né Marine Le Pen, né Nigel Farage. Ed è convinto che quello sia solo il punto di partenza e che non debba correggere niente del suo stile, anzi piuttosto aumentarlo, renderlo sempre più caricaturale, proprio come Trump. Stiamo vivendo in epoche che, almeno dal punto di vista estetico, sono davvero imprevedibili. Noi italiani – per rimanere nel campo della politica, del populismo, della democrazia – eravamo stati all’avanguardia dello stile con Mussolini, con D’Annunzio, con il Re Fellone, con il tycoon delle tv, con le menti raffinatissime di Cosa Nostra. Come è successo che oggi il nostro uomo più popolare sia la fake copy di uno spompatissimo palazzinaro di New York? C’è solo da aspettare che cada Donald, così anche Matteo rientrerà nei ranghi. E se fosse prima del previsto?