di Javi Sánchez (vanityfair.it, 26 settembre 2024)
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite prosegue il suo corso e poche ore fa uno dei suoi eventi collaterali ha avuto un ospite d’eccezione: Meryl Streep, che, accompagnata da alcune attiviste, ha alzato la voce per denunciare la situazione delle donne in Afghanistan. Durante la presentazione del documentario The sharp edge of peace, che ritrae le quattro donne che hanno negoziato con il regime talebano dopo il ritiro degli Stati Uniti nel 2021, la Streep ha sottolineato che la situazione attuale delle donne afghane è un «lento soffocamento».
La Streep ha osservato che, dopo l’approvazione delle ultime leggi talebane, un gatto, uno scoiattolo o un uccello hanno «più diritti» delle ragazze e delle donne afghane di oggi: «Un gatto può sedersi in veranda e godersi il Sole, ha più libertà delle donne afghane. Può inseguire uno scoiattolo in un parco. E quello scoiattolo ha più diritti di quanti ne abbia una ragazza oggi in Afghanistan, perché i Talebani hanno vietato alle donne di entrare nei parchi pubblici. Un uccello può cantare a Kabul, ma le donne non possono cantare in pubblico. È incredibile, è innaturale (…). Metà della popolazione vive come prigioniera».
L’attrice ha anche ricordato il degrado delle libertà che l’Afghanistan ha subito nell’ultimo secolo e come la sua situazione sia un monito per il resto del mondo: «Nel 1971 mi sono laureata qui a New York» ha spiegato, «e nello stesso anno le donne in Svizzera hanno ottenuto il diritto di voto. Un diritto di cui le donne afghane godevano già da più di mezzo secolo. Hanno ottenuto questo diritto nel 1919», un anno prima degli americani e decenni prima dei francesi.
Ha anche spiegato che negli anni Settanta la maggior parte dei lavoratori pubblici in Afghanistan «erano donne, erano medici e insegnanti. C’erano donne avvocato, c’erano donne professioniste di ogni tipo, e poi il mondo le ha abbandonate». Così che i Talebani «le hanno private della loro istruzione e del loro lavoro, della loro libertà di parola e di movimento, fino a imprigionare di fatto metà della popolazione».
La Streep, accompagnata da Asila Wardak – ex diplomatica afghana e fondatrice dell’Afghan Women’s Network, che ha promosso l’evento insieme a politici indonesiani, irlandesi, svizzeri e del Qatar (che ha definito la situazione nel suo Paese «genocidio di genere») –, ha chiesto una «parità di genere» in Afghanistan. Ha invitato la comunità internazionale, la comunità musulmana sunnita e «tutti coloro che hanno rapporti con i Talebani» a intervenire, prima di aprire il documentario, diretto dalla connazionale Royal Sadat e prodotto dalla regista Leslie Thomas. «È stato uno dei più grandi onori della mia vita» ha concluso la regista, «avere il privilegio di essere qui con queste donne straordinarie, che ci danno coraggio e ci ricordano che il fondamentalismo e la paura possono mettere a soqquadro la civiltà dall’interno».