Le plance elettorali (senza manifesti) si sono prese Roma

di Gabriella Cerami (roma.repubblica.it, 18 maggio 2024)

È rimasta solo la ruggine, segno di antichi furori e di campagne elettorali combattute a colpi di faccioni giganti per le strade. Faccioni che oggi sono spariti. E il metallo è rimasto solo, malinconico, a imbruttire strade e piazze già talvolta poco decorose. Le piastre, su cui per decenni si è svolta la gara politica — «la mia propaganda contro la tua», «il mio volto contro il tuo», l’uno accanto all’altro tra preferenze e voti di lista — sono diventate desuete. E vuote in tutta la città.

Sono tempi ormai passati quelli in cui un rullo di facce invadeva i marciapiedi della città. Tempi superati dalla storia e da un nuovo modo di comunicare. Ogni notte la plancia posizionata sui giardini di Piazza Cardinal Consalvi al Flaminio sogna che arrivi qualcuno ad attaccare un manifesto elettorale di Nicola Zingaretti o di Antonio Tajani o di chiunque altro. «Ignazio Marino, ti prego, almeno tu che sei stato sindaco ricordati di noi!». E invece nulla. Intanto si fa giorno e la lamiera è ancora vuota, triste e sconsolata. I romani ripopolano le strade, vanno al bar per un caffè, si siedono sulle panchine. Gli occhi si posano su un orizzonte interrotto: una schiera di vecchi pali gialli, supporti metallici, lastre e bulloni, blocca la visuale.

Non può che essere così. C’è una legge del 1956, mai cancellata né rivista malgrado diverse iniziative parlamentari e comunali, che obbliga le città a installare le plance una cinquantina di giorni prima del voto. E in ogni fila deve essere garantito uno spazio a ciascun partito in corsa in quella determinata tornata elettorale. E così, anche questa volta, i pali hanno bucherellato giardini e marciapiedi oppure sono stati posizionati nei pozzetti. Solo se già predisposti. Altrimenti via con trapano e martello a sconquassare l’asfalto. Come sconquassate appaiono alcune lastre bersaglio dei vandali, prese a calci e piegate verso l’interno.

Chi attaccherebbe oggi, su questi bandoni di metallo, un manifesto elettorale per farsi pubblicità e invitare al voto? Nessuno. Meglio, casomai, ma sono comunque pochi quelli che lo fanno, optare per i manifesti da affiggere sugli spazi riservati alla cartellonistica. Più curati, più grandi, visibili e illuminati. La desolazione delle plance vuote arriva anche sulla Cristoforo Colombo, dove una persona ferma la sua auto per fotografare questa schiera di metallo come se si trattasse di uno scatto da conservare. Di qualcosa di vintage da immortalare perché, se mai il Parlamento avrà tempo e voglia di cambiare la legge, forse presto sparirà. Non solo per non sprecare risorse pubbliche, necessarie per montare, smontare e manutenere questo ammasso di ferro, ma anche per rendere la città più decorosa.

Su un marciapiede di Via Giordani, in zona Collatino, dove l’erba infestante non è stata ancora tagliata, come se non bastasse, compaiono anche lastre piene di ruggine e spoglie di manifesti. Un giovane passeggia e osserva ironico: «Ancora più ammaliante questa strada con la cartellonistica elettorale». Non c’è niente da fare: i politici si sono riscoperti influencer, sanno bene che il voto corre sui social e si conquista con il contatto diretto con le persone. Ma la legge di 68 anni fa proprio non la vogliono cambiare.

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