Rendere Giorgia Meloni una hit virale è una buona idea?

di Simone Fontana (wired.it, 6 novembre 2019)

Settecentomila visualizzazioni in dieci giorni, una challenge di successo, la viralità raggiunta su TikTok e persino una coreografia ufficiale. È di nuovo quel momento dell’anno in cui Giorgia Meloni diventa un tormentone di Internet, ma questa volta le cose sembrano poter andare diversamente rispetto al passato.

Giorgia Meloni via Instagram
Giorgia Meloni via Instagram

Il merito del ritrovato successo in chiave pop della leader di Fratelli d’Italia è del collettivo Mem&J, che ha remixato alcuni passaggi del suo discorso pronunciato in Piazza San Giovanni a Roma per la manifestazione della destra ribattezzata “Orgoglio italiano”, tirando fuori quella che può essere a tutti gli effetti considerata la hit del momento: “Io sono Giorgia, sono una donna…” l’avete sentito tutti; spopola su Twitter e Facebook tra gli adulti e persino tra gli adolescenti – a cominciare, come si diceva, da TikTok.

Nonostante il palese intento dissacratorio, l’operazione è stata criticata da più parti e accusata di normalizzare involontariamente una personalità politica già in ascesa (gli ultimi sondaggi attestano Fratelli d’Italia attorno al 9%), protagonista di una narrazione identitaria, xenofoba e decisamente ostile alla comunità Lgbt+. Ma c’è anche chi difende la scelta di appropriarsi dei toni e delle parole di Giorgia Meloni, rivendicando la possibilità di stravolgerle e di depotenziare l’impatto della sua comunicazione. Il dibattito, insomma, si riduce a un grande classico dei discorsi sulla comunicazione politica: è possibile parlare di qualcosa senza fargli pubblicità?

Non ridere dell’elefante

La base teorica, più o meno consapevole, da cui parte la critica al video è la produzione di George Lakoff, linguista e studioso di scienze cognitive che per molto tempo si è occupato del rapporto tra linguaggio e politica. Secondo Lakoff, entrato nell’immaginario pop soprattutto per l’esercizio di “non pensare all’elefante”, il consenso politico dipende fortemente dalla costruzione di frame (cornici interpretative) e dall’impatto che questi hanno su un pubblico biconcettuale, ovvero non marcatamente progressista o conservatore. Il modo in cui un esponente politico definisce il mondo, insomma, può essere più o meno coinvolgente, ma abbracciarlo, anche solo per contraddirlo, vuol dire decretarne il successo.

Per questo diverse personalità del mondo culturale e non invitano i propri follower a non ritwittare Salvini e sempre per questo la viralità del video di Giorgia Meloni potrebbe risultare problematica agli occhi di un progressista, dal momento che, pur dissacrandole, pone al centro del dibattito le parole d’ordine della destra post-fascista “Dio, patria e famiglia”. Perché normalizzare Giorgia Meloni e riconsegnarla alla sua cornice preferita di donna del popolo, madre presente e cristiana devota, vuol dire descriverla esattamente con le parole che ha scelto lei: non è un po’ troppo, come regalo?

Dirottare Giorgia Meloni

La critica più frequentemente mossa all’impostazione teorica di Lakoff è la sua considerazione dell’audience, descritta come molto più passiva rispetto allo stato dell’arte precedente. L’alternativa è considerare la bontà della pubblicità in base al suo fine ultimo, ed è qui che entra in gioco Io sono Giorgia.

Non è la prima volta che l’ex ministro della Gioventù incappa in un espediente mediatico di questo tipo e ha già dimostrato a più riprese di saper gestire situazioni comunicative complesse, grazie a uno staff giovane e preparato, ma soprattutto a un’esperienza diretta degli ambienti di Internet. Già nello scorso mese di febbraio, la trasmissione televisiva di La7 Propaganda Live aveva remixato uno spezzone dell’intervista di Giorgia Meloni a Porta a Porta (in cui si parlava di affondare una nave ong) per creare la canzone di successo Ollolanda. Per tutta risposta, Meloni riutilizzò l’audiovisivo a scopo propagandistico, arrivando a postare sui social con una maglietta dedicata al tormentone.

Questa volta, però, i meccanismi della viralità hanno regalato al video un destino totalmente diverso, tanto che fin dalle prime ore sono fioccate reinterpretazioni da parte di drag-queen e meme provenienti da comunità online Lgbt+. Le categorie bersagliate dal comizio di Giorgia Meloni si sono, insomma, riappropriate delle parole usate come arma ostile e adesso ci ballano su, nella migliore tradizione del detournement situazionista. Non sarà facile per la comunicazione di Fratelli d’Italia scardinare questa chiave interpretativa – e infatti per ora sulla pagina di Giorgia Meloni compare solo l’innocuo montaggio mandato in onda da Striscia la Notizia [la Meloni ha di lì a poco scritto sul proprio profilo Instagram, a commento di una foto in cui sorride in primo piano facendo il segno della vittoria: «2 buone notizie: la prima è che la hit #iosonogiorgia è prima in classifica sui social, la seconda è che oggi i sondaggi danno Fratelli d’Italia al 10%. È tutto molto incoraggiante», N.d.C.] – anche se la crescente dimensione del fenomeno fa pensare che quantomeno ci proveranno. Resta, al momento, la suggestione di un Pride scandito dalle parole di Giorgia Meloni: e tanto basta a dare un senso all’attesa.

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