Telepopulismo: il metaverso di Cairo e i peggiori istinti della nostra tv

di Christian Rocca (linkiesta.it, 12 novembre 2021)

Il comizietto del vescovo Viganò su La7 a proposito dei morti Covid uccisi intenzionalmente non si sa da chi ha destato quei consueti cinque minuti di quotidiana indignazione, pronti a essere soppiantati da altri cinque minuti di attivismo social su una qualche altra stronzata detta in tv da qualche altro imbecille in abito talare o no, togato o no, del Fatto o no. Ma se lo stolto guarda Viganò o la compagnia di saltimbanchi che occupa gli schermi televisivi, il saggio in realtà indica Urbano Cairo e gli irresponsabili mestatori nel torbido della società italiana che guidano e gestiscono e conducono i programmi di La7 con l’obiettivo consapevole o no, ma certamente preciso, di mandare il Paese a carte quarantotto appellandosi in nome degli ascolti ai peggiori istinti della natura umana.

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I programmi di La7 non sono gli unici responsabili della devastazione del dibattito pubblico italiano, perché di show altrettanto ridicoli è pieno il palinsesto Mediaset e ce ne sono anche in Rai. Con l’eccezione dell’informazione seria e puntuale di Skytg24, che gli altri definiscono noiosa, e di qualche altro sporadico programma o tg qua e là, come Che tempo che fa, il panorama televisivo nazionale esprime e rappresenta perfettamente lo stile complottistico della politica italiana e produce un racconto criminale dell’economia e della società contemporanea che diventa terreno di coltura per ogni tipo di populismo. In questo contesto, è ovvio che Dibba e i no vax, Scanzi e i no euro si trovino a loro agio, e che i neo, ex, post fascisti digitali e analogici siano poi la maggioranza del Paese. Del resto, ripensiamo a come si sono chiamate le trasmissioni televisive di questi anni: Piazzapulita, La gabbia, L’aria che tira, Annozero, Bersaglio mobile, Virus, Ballarò, L’Arena, Agorà, Quarto grado. Basta mettere i nomi in fila uno dietro l’altro e non serve nemmeno accendere la tv per individuare le origini del populismo giustizialista e della gigantesca truffa della democrazia diretta.

Le trasmissioni di La7 hanno però qualcosa in più, perché nella loro diversità sembrano progettate per rispondere a un medesimo disegno populista, intanto per ottimizzare il conto economico, costruendo programmi a basso costo con ospiti che pagherebbero di tasca propria pur di essere chiamati in tv ed essere riconosciuti dal pizzicagnolo sotto casa e quindi con focus sulle più improbabili e strampalate e pericolose argomentazioni su qualsiasi argomento dello scibile umano, perché anche in tv, come sui social, prevale la logica premiante della rabbia e del risentimento. Ma oltre a quella degli affari, legittima, c’è anche una motivazione politica o, meglio, antipolitica nel puntare editorialmente sempre sul peggio di noi stessi, ed è quella di fare tabula rasa del panorama politico per preparare una sempre-possibile-ma-sempre-rimandata discesa in campo sul modello di Berlusconi. Cairo dispone anche del Corriere della Sera, il più importante e storico e popolare quotidiano italiano, il cui declino in termini di autorevolezza, nonostante gli sforzi della redazione, va ben oltre gli effetti fisiologici della crisi del settore, tanto che non mi stupirei se a un certo punto in via Solferino diventasse direttore Fedez o altro analfabeta democratico.

Un editore privato è libero di fare quello che vuole, e va difeso nella libertà di fare le sue scelte e di indirizzare le sue aziende, ma i politici e gli intellettuali che poi si lamentano del declino del discorso pubblico non sono più credibili se continuano ad alimentare la messinscena quotidiana e poi a lagnarsi degli effetti nocivi. Da qualche tempo va di moda alzarsi dallo sgabello e abbandonare lo studio, o solo minacciare di farlo, quando si reputa che la misura delle enormità dette in diretta sia colma. Ecco, le trasmissioni televisive quotidiane sono colme di improbabili no vax, no euro, complottisti, mozzorecchi, fascisti, livorosi e squilibrati di ogni estrazione e grado che parlano di cose che non conoscono. È il modello di business della tv politica italiana, con acrobati e mangiatori di fuoco. Provare a ribattere, più che impossibile, è inutile. Meglio mantenere il distanziamento sociale, spegnere la tv, interrompere per sempre l’emozione. Lasciare che se la vedano tra loro. Le elezioni e le battaglie culturali si perdono lo stesso, ma non si rischia il contagio e si vive meglio.