Winnie the Pooh imbarazza Xi e sparisce dai cinema di Hong Kong

di Eugenio Buzzetti (agi.it, 21 marzo 2023)

Winnie The Pooh torna a imbarazzare la Cina e sparisce dalle sale cinematografiche. L’orsacchiotto della Disney, spesso accostato, nelle forme, al presidente cinese Xi Jinping, non uscirà nelle sale di Hong Kong con il film horror Winnie the Pooh: Blood and Honey. La mancata proiezione sarebbe attribuita a “motivi tecnici”, ma non è la prima volta che il personaggio incontra ostacoli, in Cina.

Andrea Cauti / Agi

La prima volta fu nel 2013, quando Xi incontrò per la prima volta il presidente Usa, Barack Obama, negli Stati Uniti. L’immagine dei due leader che camminano fianco a fianco venne accostata a quella di Winnie the Pooh e di Tigro (più simile all’ex presidente americano, nelle fattezze) e fece il giro del web. Un paragone che fece sorridere molti, all’inizio, ma il simpatico orsacchiotto ha, in seguito, destato l’attenzione della censura per l’associazione al dissenso verso il leader cinese. I paragoni tra Xi e Winnie the Pooh si sono susseguiti nel corso degli anni, incappando sempre nell’oscuramento dei censori di Pechino.

Un chiaramente insoddisfatto Xi che stringe la mano all’ex primo ministro Shinzo Abe, nel 2014, a Pechino, è stato paragonato a un’immagine tratta da un cartone animato, in cui l’orsetto goloso di miele stringe la zampa all’avvilito asinello Eeyore (Ih-oh): anche in questo caso, la somiglianza nelle pose e nelle espressioni tra i personaggi immaginari e i leader politici è molto alta. A finire nel mirino della censura di Pechino, anni più tardi, nel 2018, è stata anche l’emittente televisiva Hbo, bloccata per un mese in Cina dopo uno sketch in cui il comico John Olivier citava le accuse di violazioni dei diritti umani da parte del governo cinese. Nello sketch, il comico britannico faceva la parodia del presidente cinese e citava la somiglianza con l’orsacchiotto della Disney.

Winnie The Pooh riemerge periodicamente, assieme alle critiche alla Cina, e anche lo scorso anno, a novembre, l’orsacchiotto della Disney aveva fatto la sua comparsa in una manifestazione di protesta contro il presidente cinese, Xi Jinping, a Bangkok, all’apertura del summit dell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation). Prima ancora, Winnie the Pooh era stato usato anche in relazione al nervosismo, sempre più evidente, per le politiche restrittive di Pechino sulla pandemia di Covid-19. Sempre su Twitter, si era diffuso un breve video che ritraeva una tazza di cappuccino con in cima un dolce gelatinoso a forma di Winnie The Pooh che dorme beato: con un cucchiaino l’autore del video cercava di “svegliare”, ovviamente senza riuscirci, il simpatico orsacchiotto, con movimenti via via più energici.

Winnie the Pooh è bannato in Cina dal 2017, e nel 2020 la Cina ha imposto a Hong Kong una legge sulla sicurezza nazionale per spegnere i movimenti pro-democrazia della città. Non stupisce, dunque, che il film horror diretto e prodotto da Rhys Frake-Waterfiled abbia incontrato difficoltà a comparire nelle sale a Hong Kong. Dall’amministrazione della regione amministrativa speciale cinese non ci sono stati commenti sulla scelta di non fare uscire nelle sale il film horror con protagonista l’orsacchiotto della Disney, ma il mancato via libera delle autorità alla proiezione potrebbe avere a che fare con una legge approvata nel 2021 dal territorio cinese che vieta la proiezione di film che “incoraggiano attività che potrebbero mettere a repentaglio la sicurezza nazionale”, in uno dei (tanti) giri di vite di Pechino sull’ex colonia britannica.

Il paragone tra Winnie the Pooh e Xi Jinping è ormai un’arma da utilizzare a colpo sicuro per i più critici (e sarcastici) osservatori della Cina. Tra gli ultimi esempi di un utilizzo “creativo” di Winnie the Pooh non si può non citare l’ex segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, noto per non risparmiare duri commenti a Pechino anche dopo aver lasciato la guida della diplomazia americana: il mese scorso, Pompeo ha postato su Twitter l’immagine dell’orsacchiotto che scende dal cielo tenendo il filo di un palloncino, in una chiara allusione all’incidente diplomatico innescato dal pallone spia cinese abbattuto dagli Stati Uniti al largo delle coste del South Carolina.

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