Fenomenologia di Conte sex symbol

di Filippo Ceccarelli (repubblica.it, 22 settembre 2021)

In quel misterioso e spesso vano product placement che è diventata oggi la politica dei partiti – ché nel frattempo il governo Draghi “va avanti” più che spedito –, l’altro giorno, a Rossano Calabro, è andato in scena uno scambio che certo riassume più di quanto si possa vedere nel video di pochi secondi che comprensibilmente ha preso a girare sui siti di informazione e sui social. E quindi: prima del comizio, da un luogo che potrebbe definirsi il backstage, una signora piccolina con i capelli biondi a caschetto ha cominciato a rumoreggiare: «Giuseppe, girati!» gli gridava.

Lo sventurato ha risposto con un magnifico sorriso, il ciuffo all’aria e una mano alzata a mo’ di benedizione. Per cui la signora, sempre fra le risate di chi le stava attorno – nei paesi tutti si conoscono e quasi sempre se ne approfittano per incoraggiare le altrui debolezze –, ha mantenuto alte le aspettative gridando forte e chiaro: «Quanto sei bono!». A quel punto il tripudio e il sorriso di Giuseppe le ha dato più coraggio, così, a seguire quella che suonava come un’esclamazione, sempre urlando fra gli allegri schiamazzi della folla, se n’è uscita con un’invocazione assai più sinuosa: «Come vorrei essere al posto della tua fidanzata!». E qui la scena, della durata prossima al minuto, finisce, ma comincia quella che vorrebbe essere una riflessione, possibilmente leggera, ma dai contenuti abbastanza apocalittici. Nel senso che, a partire dalla reazione di Conte, che chiaramente non stava nella pelle, si è forse raggiunto il grado zero dell’abbassamento dei contenuti, così come nel video è possibile cogliere il segno di eventi a loro modo enormi, la rotolata a rotta di collo del contegno, il crollo della parola politica, l’esaurirsi di ogni motivazione che abbia a che fare con la dimensione collettiva.

Inutile esprimere sorpresa e stracciarsi le vesti. Sono trent’anni che, in parallelo all’evoluzione tecnologica delle visioni a distanza – ma senza che mai alcuno lo riconoscesse dall’interno del Palazzo –, la seduzione ha preso il posto della persuasione. Dapprima in modo latente (anni Ottanta), poi strisciante (anni Novanta), quindi in forme sempre più esplicite, calcolate e totalizzanti. Da Mussolini a Craxi, da Bossi a Berlusconi, fino Renzi e a Salvini, l’erotica del potere, che è un fenomeno antico come il comando, ha accompagnato lo svolgersi delle vicende italiane dovendo pur sempre fare i conti con ideali, ideologie, passioni e culture politiche, opinioni e orientamenti, anche se sempre più vaghi e miseri. Con Giuseppe Conte, che più di ogni altro proviene dal nulla, ma dal nulla non solo è approdato al vertice dell’amministrazione bensì si è trovato a Palazzo Chigi a gestire la crisi pandemica, con la fifa blu che bussava alla porta di un intero Paese, ecco che il vuoto si è presto riempito della sua figura, del suo volto, del suo corpo, delle sue movenze e posture, del suo outfit, dei suoi accessori, dei suoi vezzi. In questo Giuseppi è perfetto: un essere del tutto privo di interiorità, puro soggetto apparente, involucro climatizzato di una politica che non è più etica del bene comune ma estetica del consenso pubblico.

Al tempo stesso regista e demiurgo, Rocco Casalino, e cioè un personaggio all’altezza dei tempi, ha riempito la scatola vuota assegnandole un target eminentemente femminile. Puntuali come le cavallette delle piaghe bibliche sono arrivate le bimbe social di Conte, “Sugar Daddy”, “il premier più sexy d’Europa”, “ah, quel suo maledetto sorriso!”, coroncine e cuoricini, cagnolini e anziane da abbracciare, ma senza deviazioni dal fulcro del fulcro concettuale di tutta la faccenda: quel fascino che, fin dall’origine della parola latina, esprime – “quanto sei bono!” – una magia connessa all’organo della virilità. Anche Fedez, tra una réclame della Coca-Cola, l’annuncio di un prossimo brano e un’esposizione di ciabatte marsupio, deve aver visto le “immagini festose” di Rossano, e in nome del comparto dello spettacolo si è fortemente indignato. «Fate cagare», bianco su nero, il suo grido – a riprova che anche il product placement ha le sue spietatezze e grossolanità.