di Anais Ginori (repubblica.it, 13 maggio 2025)
Quel pagliaccio diventato eroe. Volodymyr Zelensky ondeggia, balla, si traveste in mille personaggi. Sketch, danze, battute fulminanti. Sempre in Russo, perché prima di diventare il paladino della resistenza ucraina, l’attore comico si esprimeva nella propria lingua madre. Zelensky, presentato oggi al Festival di Cannes, ricostruisce un destino improbabile in cui la satira precede la tragedia.
Co-diretto da Ariane Chemin, Yves Jeuland e Lisa Vapné, il documentario — disponibile sulla piattaforma Arte — è costruito attraverso rare immagini d’archivio e testimonianze inedite, tra cui quella dello stesso presidente ucraino. Il film si apre con un’immagine sobria e solenne. È il 24 agosto 2024, festa nazionale in Ucraina. In piazza Santa Sofia, a Kiev, si tiene una cerimonia a porte chiuse. Nessuna folla, nessuna celebrazione: solo il silenzio di un Paese in guerra. In uno stile essenziale, il documentario mette subito in scena un’ambivalenza: lo statista e l’ex attore, l’uniforme militare e i ricordi di scena. Una voce fuori campo interpella lo spettatore: «Chi vedete? Un nazionalista? Un burattino? Un eroe? Un ebreo, un ortodosso? Russofono, russofobo?».
La molteplicità di sguardi dice tutto sulla complessità dell’icona Zelensky, nato a Kryvyï Rih, in un’Ucraina ancora sovietica, dove fonda la compagnia Kvartal 95 con un gruppo di amici. Uno di loro, Denys, ricorda: «Sognavamo di fare carriera in televisione». Zelensky, appena ventenne, sale sul palco con una disinvoltura folgorante. Il produttore Alexandre Rodniansky racconta il loro primo incontro: «Era divertente, terribilmente carismatico. Era lui il leader». La compagnia partecipa al concorso umoristico Kvn, celebre gara tra università dell’ex Urss, da Vladivostok a Minsk. Zelensky e la sua banda diventano volti noti della comicità postsovietica, si fanno notare a Mosca, fondano una casa di produzione con sede a Mosca.
«Non è un film geopolitico», sottolinea Yves Jeuland. «Ci interessa prima di tutto la persona di Zelensky, il suo destino». L’uomo di scena diventato uomo di Stato. «Il film non edulcora nulla» aggiunge Ariane Chemin, giornalista di Le Monde e coautrice del documentario. Si parla del mancato servizio militare, dell’assenza durante la rivolta del Maidan, delle ambiguità della campagna elettorale del 2019. Fragilità e contraddizioni che danno spessore al ritratto di un comico diventato comandante in capo. Difficile riconoscere il giovane Zelensky gioioso, irriverente, che gioca a fare il buffone. I frammenti della sua giovinezza s’intrecciano con le testimonianze degli amici, delle insegnanti, e di figure chiave della sua nuova vita politica, come il capo di gabinetto Andriy Yermak.
Per il regista Jeuland, la forza del personaggio sta nel suo istinto politico, nella capacità rara di parlare direttamente al popolo, senza filtri. Una padronanza dei codici della comunicazione contemporanea — dai social network al linguaggio delle immagini — che ha fatto accostare Zelensky ad altre figure [di] outsider [della politica] come Beppe Grillo. Con un’impressionante porosità tra finzione e realtà, incarnata da Servitore del popolo. Andata in onda tra il 2015 e il 2019, la serie racconta l’ascesa di Goloborodko, professore di liceo catapultato alla presidenza. Zelensky ne è protagonista e produttore. Al suo fianco, gli amici di sempre: Olena Kravets, Sacha Pikalov, Alexei Kiryushenko. Nel 2017 nasce il partito omonimo, e nel 2019 l’attore manda in onda l’ultima stagione della serie. Si candida, vince, entra davvero nel palazzo presidenziale.
Il documentario mostra come gli sceneggiatori della serie diventino anche i consulenti della campagna. Il Goloborodko immaginario anticipa lo Zelensky reale. Zelensky ora indossa la mimetica, ha abbandonato i set per rifugiarsi nei bunker. Il film torna su questa svolta brutale. L’umorista che prometteva di non far più piangere gli ucraini si ritrova a incarnarne il dolore. Gli estratti di Servitore del popolo, i discorsi a Cannes e al Parlamento britannico, le testimonianze degli ex compagni di scena delineano un uomo complesso, al tempo stesso stratega istintivo e figura tragica. Il documentario riflette anche sul potere delle immagini e su come un’epoca finisce per divorare le proprie finzioni.